Mentre sta per ripartire la celebrazione sulla “Via della Seta” di Marco Polo con la rievocazione del viaggio tra Venezia e Pechino del celebre scopritore interpretato in chiave moderna dai camion di Overland, le compagnie di navigazione cinesi addette al trasporto container dicono addio al porto di Venezia, “colpevole” di avere fondali troppo bassi per il pescaggio delle maxi portacontainer appartenenti alla Ocean Alliance, formata dalle compagnie Cma-Cgm, Cosco Shipping, Evergreen e Oocl.
L’addio allo scalo di Venezia significa la perdita della linea diretta di trasporto container tra la Cina e il SudEst asiatico in quanto le navi con pescaggio da 11,5 metri non riescono più ad accedere alla laguna, dove i mancati dragaggi hanno portato nel tempo alla sedimentazione, innalzando i fondali del mare. Per tornare ad essere appetibile ai giganti del male, serve un’escavo di almeno un metro del fondale dei canali di accesso.
A bloccare l’azione di adeguamento dei canali di accesso al porto di Venezia non è una questione di soldi che, anzi, ci sono come conferma il presidente dell’Autorità portuale veneziana, Pino Musolino: i 23 milioni di euro disponibili non possono essere utilizzati perché, nel più classico scenario della burocrazia e dello scaricabarile all’italiana, mancano le autorizzazioni da parte del governo centrale su dove depositare il materiale dragato. «Se tutto andrà per il verso giusto – dice Musolino – entro l’estate del 2020 avremo risolto la situazione portando la quota a -11,5 metri di profondità dei canali di accesso».
Musolino fa anche i conti di quanto l’impasse costi al sistema portuale veneziano e al suo indotto: «abbiamo già perso circa 50 milioni di ricchezza generata nel sistema portuale su base annua, con ulteriori perdite ancora difficili da quantificare al momento. Un danno assolutamente evitabile, visti i ripetuti avvertimenti che in tal senso abbiamo lanciatonel corso degli ultimi anni, che avrà ripercussioni anche sull’indotto e sulla catena di valore della manifattura veneta e lombarda».
Per Musolino «la decisione di Ocean Alliance di abbandonare Venezia non sarà la morte del porto, che rimane centrale in quanto grande porto industriale e commerciale, leader nazionale del project cargo e tra i principali attori delle rinfuse e merci varie. Continuerò a relazionarmi con le compagnie e a tessere rapporti commerciali, per riportare il servizio diretto a Porto Marghera».
Per il 2020 erano previsti 52 ingressi al porto di Venezia, con provenienza Shanghai, Ningbo, Pusan, Shekou e Singapore. Ogni“toccata”, in termini di fatturato vale circa un milione di euro per il sistema portuale.
Gli operatori cinesi si sposteranno quindi su Trieste, che può vantare una migliore struttura logistica, con fondali profondi e una forte rete di collegamento ferroviaria con le linee nazionali ed internazionali. Un porto, quello di Trieste, che non sta fermo, ma punta ad allargare il suo raggio di attività. Il governo ungherese ha confermato la sua volontà di procedere con l’investimento nell’area ex Aquila del porto di Trieste da una parte, e dall’altra la constatazione congiunta di come l’iter amministrativo del progetto stia avanzando nella direzione indicata dagli accordi sottoscritti lo scorso luglio.
Lo ha confermato a Trieste vice sottosegretario di Stato allo sviluppo economico transfrontaliero ungherese, Peter Kiss-Parciu, incontrando il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga. L’impegno finanziario magiaro prevede un significativo allargamento dello sviluppo dello scalo triestino che avrà effetti su tutta la rete logistica retroportuale della regione.
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