Sondaggio Pmi IHS/Markit: manifatturiero italiano ai minimi da 2013

Pesa la pessima azione del governo Conte 1 & 2 che ha privilegiato l’assistenzialismo piuttosto che lo sviluppo economico. Troppe tasse e troppa burocrazia affossano la produzione. Pesanti ombre sul 2020. 

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IHS/Markit

Ancora encefalogramma piatto per l’industria manifatturiera italiana secondo l’indice Pmi (purchasing managers’ index) elaborato da IHS/Markit in base al sondaggio fra i direttori degli acquisti, complice la pessima azione di governo da parte del Conte 1 & 2, troppo impegnati sul fronte dell’assistenzialismo.

Tra domanda debole, crollo produttivo per il diciassettesimo mese di fila, flessione degli ordinativi e accelerazione dei tagli di posti di lavoro, il settore manifatturiero piomba sui livelli di operatività più bassi da oltre sei anni e mezzo. Una débâcle che si inquadra in uno scenario di generale deterioramento nell’Eurozona, con la locomotiva tedesca che archivia i risultati peggiori registrando una contrazione dell’attività manifatturiera per il dodicesimo mese di fila e in misura più marcata rispetto agli altri partner.

Segnali che allungano nuove ombre sulle sfide per il 2020, a dispetto di quei primi cenni di stabilizzazione dell’economia menzionati dalla Bce che suggerivano la fine della fase di rallentamento economico e che il peggio fosse ormai alle spalle.

Per l’Italia, l’indicatore relativo al mese di dicembre è sceso a 46,2 punti da 47,6 di novembre rivedendo i minimi da aprile del 2013. La contrazione dell’attività manifatturiera italiana si fa più profonda, tenuto conto che quota 50 rappresenta la soglia di demarcazione tra espansione e contrazione del ciclo, e si rivela più pesante della stima media di 47,2 punti avanzata dagli economisti. E il passo dalla stagnazione alla recessione per l’Italia del BisConte giallorosso potrebbe essere molto breve.

La produzione, in particolare, si è contratta del 2,4% su base annuale: il livello più veloce in quasi sette anni. Un altro record– in negativo – segnato dal manifatturiero italiano è la riduzione del livello del personale per il settimo mese consecutivoal tasso più veloce degli ultimi sei anni e mezzo. Gli occupati del settore, secondo gli ultimi dati Istat relativi al terzo trimestredel 2019, sono oltre 3 milioni, un dato molto inferiore ai quasi 4 milioni di addetti registrati all’inizio del 2000. Nonostante i dati in netto peggioramento, le imprese manifatturiere italiane intervistate da IHS/Markit sono rimaste generalmente ottimiste che l’attività aumenterà durante i prossimi 12 mesi.

Nell’intera Eurozona, l’indice Pmi sull’attività manifatturiera è sceso a 46,3 da 46,9 di novembre evidenziando una contrazione del ciclo per l’undicesimo mese di fila. E in Germania si è registrato un calo a 43,7 da 44,1 di novembre chiudendo così l’intero 2019 senza spunti di crescita. «Ancora una volta la Germania è stata la nazione a riportare i risultati peggiori e rimane una spina nel fianco dell’economia» si evidenza nel rapporto. Il calo della produzione tedesca nell’ultimo scorcio del 2019 «è di cattivo auspicio per i dati finali sulla crescita, mentre i tagli consistenti alla forza lavoro nelle fabbriche continuano a rappresentare una minaccia per i consumi interni», commenta Phil Smith, Principal Economist di IHS/Markit, il quale tuttavia vede qualche spiraglio positivo grazie alla “fase uno” dell’accordo commerciale tra Stati Uniti eCina e al percorso «potenzialmente più chiaro verso la Brexit», fattori che «creano uno sfondo più stabile sul palcoscenico internazionale».

«Il forte calo registrato dall’indice Pmi manifatturiero redatto da IHS/Markit, il punto di riferimento che misura il livello di confidenza dei direttori d’acquisto dell’industria italiana nei confronti dell’economia nazionale, è passato quasi inosservato sulla stampa nazionale. Quell’indice, invece, è di importanza fondamentale per poter predire il futuro nel breve periododella nostra industria, soprattutto quando, come ieri, ha toccato il livello minimo dall’aprile 2013, quando l’Italia era ancora in preda alla cura delle riforme draconiane del governo Monti – afferma Renato Brunetta, deputato e responsabile economicodi Forza Italia -. C’è da considerare che facendo una analisi comparata degli indicatori tra i vari paesi dell’Eurozona, l’Italia risulta l’unico grande paese in cui l’indice è risultato essere fortemente inferiore alle attese, mentre in tutti gli altri è risultato essere molto più positivo».

Secondo Brunetta «in Italia l’indice è calato di ben un punto e mezzo, a 46,2 dal precedente 47,6, risultando di ben un punto inferiore al dato atteso (47,2). In Spagna è rimasto pressoché invariato a 47,4, un dato migliore di quello atteso (47,0). Anche in Francia l’indicatore è rimasto stabile a 50,4, leggermente al di sopra delle attese (50,3). In Germania è calato a 43,7 dal precedente 44,1. In Eurozona, è salito a 46,3 dal precedente 45,9, che era anche il valore atteso. Ecco che allora, guardando tutti questi dati – conclude Brunetta – il governo giallorosso non potrà più attaccarsi al vecchio adagio che la crisi manifatturiera italiana è dovuta esclusivamente alla crisi manifatturiera europea, dal momento che il trend, per gli altri Paesi, è in ripresa».

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