La Banca Mondiale conferma una triste e tragica realtà: le imprese italiane sono tartassate, le più tartassate d’Europa con un prelievo fiscale sugli utili che supera il 59%, in crescita rispetto al 54,1% dell’indagine precedente. Un peso che grava in particolare sulle piccole e medie imprese, tutte quelle realtà che per fatturato e organizzazione non riescono a darsi una strutturazione da holding tale da potere portare la sede legale in uno dei paradisi fiscali europei, come il Lussemburgo o i Paesi Bassi, dove il prelievo sugli utili aziendali è ben sotto le due cifre, livello che sempre più costituisce una concorrenza sleale sia tra stati che tra imprese.
Secondo il rapporto “Paying Taxes 2020” realizzato da Banca Mondiale e PwC, il fisco del Belpaese costituisce un macigno sui profitti delle imprese: tra tasse e contributi si porta via il 59,1% degli utili commerciali. Aumenta il carico fiscale complessivo sulle imprese (il Total Tax & Contribution Rate), pari al 59,1% dei profitti commerciali (contro il 53,1 nella classifica precedente) a fronte di un “peso” globale del 40,5% ed europeo di “solo” il 38,9%.
Per quanto riguarda il peso complessivo, il rapporto spiega che il dato registra un incremento di 6 punti percentualiessenzialmente riconducibile al venir meno degli sgravi contributivi introdotti quale misura temporanea non successivamente stabilizzata, in conseguenza del mutamento della politica economica del paese. La sensibile riduzionedell’aliquota Ires intervenuta nel 2017 e la previsione del “superammortamento” per l’acquisizione di nuovi beni strumentali non hanno consentito di assorbire l’impatto negativo del venir meno della decontribuzione. Tuttavia, l’indice non riflette altri significativi incentivi previsti a favore delle imprese, quali gli incentivi Industria 4.0.
Per quanto riguarda le 238 ore impiegate per gli adempimenti fiscali (invariate rispetto al 2017), vanno rapportate a un dato medio globale pari a 234 e di un dato medio europeo pari a 161 ore. Costante il numero dei pagamenti: resta pari a 14rispetto ad un dato globale di 23 pagamenti e un dato europeo di 10,9 pagamenti. Il risultato dell’Italia – si precisa nel rapporto – va letto alla luce di alcune peculiarità che influenzano tradizionalmente il calcolo dell’indicatore TTCR (nel modello il Trattamento di fine rapporto Tfr è incluso nel calcolo in quanto assimilato ad un contributo previdenziale obbligatorio) e di altre che impattano quest’anno sul caso base (pesa in particolare il riassorbimento degli effetti positivi della decontribuzione neoassunti, che precedentemente erano risultati decisivi per il miglioramento dell’indicatore).
Degno di nota il posizionamento dell’Italia nello sviluppo di tecnologie digitali per la gestione degli adempimenti ai fini Iva, a seguito dell’introduzione della fatturazione elettronica e del sistema di interscambio (SDI). Il Report colloca l’Italia al Livello III (il piu’ alto).
Infine l’Iva: le imprese impiegano quasi due giorni pieni (42 ore) per la richiesta di rimborso Iva, incluso il tempo speso per rispondere alle richieste ricevute nel corso delle verifiche fiscali dell’amministrazione finanziaria (18,2 ore la media mondiale; 7 ore la media a livello europeo).
E i rimborsi? «Il tempo di attesa del rimborso è di 62,6 settimane e copre un periodo di sei mesi (26 settimane) che intercorre tra l’acquisto del bene e la presentazione della dichiarazione Iva annuale (nel caso di studio condotto dal rapporto l’impresa non può richiedere il rimborso dell’imposta su base trimestrale). A livello globale il tempo stimato è di 27,3 settimane; a livello europeo 16,4 settimane. Di fatto, le imprese con i tempi di rimborso di oltre tre volte la media europeafiniscono con trasformarsi in finanziatori spuri a favore dello Stato.
Secondo Alessandro Bertoldi, direttore esecutivo dell’Istituto Milton Friedman, «un Paese in queste condizioni e con una tendenza politica sempre più aggressiva ad incentivare politiche proibizioniste, punitive e mai liberiste o incentivanti per l’economia non può avere alcun futuro. Chiediamo pertanto al Governo un cambio di rotta immediato perché, se le normecontenute nella manovra fossero confermate, tutto il nostro tessuto produttivo rischierebbe il collasso».
Allarme pure dalla CNA, che parla di «soddisfazione per quanto amara, perché non fa altro che confermare quanto denunciato qualche settimana fa dal rapporto sulla tassazione delle Pmi che aveva fissato al 59,7% la tassazione sull’impresa media italiana». Secondo la CNA «alla luce di quanto denuncia la Banca Mondiale, il governo deve impegnarsi per un fisco più equo e sostenibile. Non si può chiedere alle imprese italiane di affrontare la globalizzazione e la concorrenza, prima di tutto europea, con un socio pesante e spesso ostile, quale l’amministrazione pubblica italiana e la burocrazia cattiva, che le costringe a correre con una gamba legata. E’ indispensabile una riforma organica della fiscalità, partendo da un drastico taglio del reddito, in primo luogo sulle imprese personali, sul lavoro autonomo e sui redditi medio-bassi. Anticipando nel contempo la deducibilità al 100% dell’Imu pagata sugli immobili strumentali delle imprese». E anche sui veicoli aziendali.
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