Presentato il Rapporto 2019 sulle libere professioni di Confprofessioni

In Italia sono attivi 1,4 milioni di professionisti, spesso con un fosco futuro di crescita professionale con redditi spesso molto bassi. Il settore muove un giro d’affari di 211 miliardi di euro all’anno. Stella: «urgente intervenire sugli squilibri». 

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Il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella

L’Italia si conferma capitale europea delle libere professioni: solo quelli iscritti a un albo professionale superano quota di 1,4 milioni, crescono al ritmo del 17%, coprono il 27% del mercato del lavoro indipendente, occupano 484.000 dipendentie muovono un giro d’affari di circa 211 miliardi di euro. Numeri che portano l’Italia in cima all’Europa, sia in termini dimensionali (18 professionisti ogni mille abitanti), sia in termini di Pil (1,7 miliardi di euro), perché dove cresce la presenza di professionisti, maggiore è la ricchezza di un Paese.

Questa la fotografia sul mondo dei professionisti italiani che emerge dal “Rapporto 2019 sulle libere professioni in Italia”, curato dall’Osservatorio libere professioni di Confprofessioni, coordinato dal professor Paolo Feltrin, e presentato a Roma durante il Congresso nazionale dei professionisti italiani, promosso dalla Confederazione italiana libere professioni, dal titolo “Ritorno al futuro. I professionisti protagonisti nell’era digitale”.

«Il quadro che emerge dal Rapporto 2019 di Confprofessioni coglie le peculiarità, ma anche i limiti, di una forza economica e sociale che sta attraversando una fase di profonda trasformazione che investe tutto il ceto medio – commenta il presidente di ConfprofessioniGaetano Stella -. Numerosi indicatori economici indicano una crescita tendenziale del settore libero professionale in Italia e in Europa, ma un’analisi più attenta fa emergere una realtà estremamente polarizzata tra professione e professione, ma anche all’interno della stessa professione, tra regione e regione, tra uomini e donne, tra classi di reddito. Una professione a due velocità che ci spinge a individuare nuovi percorsi nel mercato del lavoro e, al tempo stesso, a costruire una rete di tutele universali che abbraccino gli interessi comuni sia della parteforte” sia quella “più debole” del nostro mondo».

Con poco più di 1,4 milioni unità, il settore delle libere professioni rappresenta nel 2018 oltre il 6% della forza lavoro e quasi il 27% del lavoro indipendente in Italia, in controtendenza rispetto ad altri settori. Secondo i dati Istat elaborati dall’Osservatorio libere professioni, negli ultimi 10 anni il lavoro indipendente nel suo complesso ha registrato una contrazione del 7,5% (-430.000 lavoratori), mentre i liberi professionisti continuano a crescere. Un fenomeno che si registra anche in tutta Europa, dove la quota di professionisti è passata dai 4,8 milioni del 2009 agli oltre 5,7 milioni del 2018 (+19%).

Tra il 2011 e il 2018 la crescita occupazionale dei liberi professionisti si attesta al 17% e si riscontra in tutte le aree professionali, con punte che raggiungono il 53% nel settore socio-sanitario e del 38% per le professioni scientifiche. Lo stesso andamento si registra anche a livello territoriale, con incrementi superiori al 30% in Campania, Molise, Veneto e Marche, mentre Calabria e Liguria segnano un calo rispettivamente del 8% e del 4,5%.

«La crescita dei professionisti è concentrata, come era facile attendersi, tra i laureati e tra i dottorati, i quali vanno a ingrossare le fila sempre più ampie di quelli che vengono chiamati “knowledge workers” (lavoratori della conoscenza, ndr) – commenta Paolo Feltrin, curatore del Rapporto 2019 sulle libere professioni in Italia -. Di conseguenza, nei prossimi anni andrà dedicata molta attenzione alla programmazione dei corsi universitari e al monitoraggio degli sbocchi professionali così da offrire alla popolazione giovanile adeguati strumenti di orientamento scolastico e professionale».

Uno dei dati più rilevanti che emerge del Rapporto 2019 di Confprofessioni indica una stretta relazione tra Pil pro capite e presenza di professionisti, vero e proprio indice di ricchezza di una regione. A valori maggiori di Pil pro capite corrisponde infatti una maggior densità di liberi professionisti. Insomma, più professionisti, più Pil. Il contributo dei professionisti all’economia italiana si misura anche in termini di creazione di posti di lavoro. Il settore degli studi professionali rappresenta infatti uno sbocco occupazionale in costante aumento: nel 2018 sono oltre 204.000 i liberi professionisti datori di lavoro (il 14,4% del totale), che occupano 484.000 dipendenti, con una crescita su base annua del 3,3%.

L’indagine condotta dal prof. Feltrin fotografa una realtà in continuo movimento, dove emergono significative differenze generazionali, di genere e reddituali. Il primo dato che emerge è un progressivo sbilanciamento dell’età anagrafica. Negli ultimi 10 anni, l’età media passa dai 45 ai 47 anni, anche se nel settore socio-sanitario si registra un’inversione di tendenza, con un calo dell’età media che scende da 46 a 40 anni. Una tendenza che trova puntuale riscontro nel gap generazione. Tra il 2011 e il 2018, la quota di professionisti under 34 passa da 234.000 a 257.000 unità, mentre gli over 55 salgono da 270.000 del 2011 a 421.000 nel 2018. Un fenomeno imputabile non solo al fisiologico invecchiamento della popolazione professionale, ma anche al nuovo ingresso di professionisti in età matura.

L’indagine 2019 di Confprofessioni mette in evidenzia un marcato gap di genere, dove prevale la componente maschile: il 64% dei liberi professionisti sono uomini, mentre le donne rappresentano il 36%. Si tratta di un fenomeno consolidato nel comparto del lavoro indipendente, che però tende a ridursi soprattutto tra i professionisti più giovani, dove il differenziale di genere è quasi nullo.

Nonostante il fatturato complessivo dei liberi professionisti risulti in tendenziale aumento negli ultimi anni, arrivando nel 2017 a sfiorare il tetto dei 211 miliardi di euro, pari al 12,2% del Pil, l’analisi sui redditi professionali mostra una forte polarizzazione tra chi vede aumentare in modo significativo i propri redditi e chi vede assottigliarsi sempre più le proprie entrate. In quest’ambito, le professioni che registrano una forte riduzione sono gli studi di architettura (-12,1%) e di ingegneria (-12,8%), mentre dall’altra parte ci sono i revisori contabili, periti, consulenti (+15%). Ma quanto guadagnano i professionisti? I redditi medi delle professioni ordinistiche oscillano in media tra i 36.000 e i 52.000 euro annui, a seconda che si prenda come riferimento i dati dell’Adepp, l’associazione delle Casse di previdenza privata delle professioni, o del Sose, la società che si occupa degli studi di settore, questi ultimi mediamente più alti poiché non calcolano gli oltre 300.000 liberi professionisti che aderiscono al regime forfettario e che presentano un reddito medio di poco superiore ai 10.000 euro.

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