Dalle municipalizzate alle SpA pubbliche, ora l’infausto ritorno alle società “in house”

Un boomerang oggi trasformare nuovamente realtà in gran parte i mano ad enti pubblici per evitre la gara pubblica per l’affidamento delle concessioni.  Di Paolo Farinati, già assessore del comune di Rovereto 

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spa pubbliche

In Italia siamo da tempi memorabili maestri nel fare e disfare, spesso guardando al breve termine e all’interesse di pochi e tralasciando o sottovalutando il bene comune, ovvero quello di ognuno di noi semplici cittadini e delle normali famiglie. Mi riferisco alla produzione e alla gestione di beni primari e di servizi basilari per la nostra vita quotidiana. Penso all’acqua, all’energia elettrica, al calore, ai rifiuti solidi urbani, alle farmacie, ai parcheggi e ad altri importanti ambiti comunitari gestiti attraverso SpA pubbliche.

Tra la metà degli anni ’90 e il primo decennio del 2000, i ben noti decreti che portano i nomi degli allora ministri Bersani e Letta, hanno allineato la normativa italiana a quella europea in termini di “privatizzazione” e di “liberalizzazione” dei suddetti servizi. Le aziende municipalizzate, in gran parte ben floride, soprattutto al Nord, come quelle di Milano, Brescia, Verona, Torino, Bologna, Genova e pure la nostra di Rovereto, furono incentivate, anche fiscalmente, a trasformarsi in S.p.A.

Favorendo opportunamente, in tale senso, la nascita di soggetti ad esclusiva o a forte maggioranza pubblica del loro capitale sociale. Capaci, inoltre, di aggregare soci quali, in primis, i comuni e le province, dando agli stessi notevoli vantaggi patrimoniali, finanziari (i dividendi annuali) e di economie di scala nelle varie gestioni, a vantaggio anche e soprattutto dei cittadini (alta qualità e basse tariffe – prezzi). In queste società entrarono pure soci privati, con quote ampiamente di minoranza, con i poteri forti, quindi, rimasti in mano ai soci pubblici, ai quali spetta ancora la nomina degli amministratori e la definizione delle strategie delle società, la cosiddetta governance.

In Trentino, per rimanere vicini a noi e per arrivare al dunque, il comune di Rovereto costituì dapprima la nuova ASM S.p.A., con l’entrata nel capitale sociale di vari comuni della Vallagarina, e qualche anno dopo diede vita assieme al comune di Trento (fatto assolutamente storico!), alla Trentino Servizi S.p.A., fondendo la propria ASM con la SIT trentina. Nei primi anni 2000 vi fu un ulteriore passo fondamentale, allorquando la SpA pubblica Trentino Servizi si unì alla Tecnofin Trentina, creando l’attuale Gruppo Dolomiti Energia e mantenendo dello stesso la maggioranza del capitale sociale nelle mani della Provincia Autonoma di Trento, dei comuni di Rovereto e di Trento e di altri enti locali trentini.

Questa operazione ha portato alla preziosa acquisizione, ad esempio, di tutta la produzione idroelettrica che realizzata sul territorio del Trentino. Un’indiscutibile conquista in termini di sostenibilità e di tutela ambientale della nostra Provincia. Credo, inoltre, che il Gruppo DE, il quinto o sesto in Italia, abbia dato evidenza e prova in questi ultimi 15 anni di essere soggettocapace di gestire al meglio servizi fondamentali per la nostra comunità, dando ai suoi azionisti – pubblici e privati – ogni anno anche significativi ritorni finanziari. Qualità riconosciuta, tariffeprezzi assolutamente concorrenziali, ovvero tra i più bassi in Italia, e ricchi dividendi.

In questi mesi leggo e sento di una certa preoccupazione tra i nostri sindaci e i nostri pubblici amministratori perché queste società, a stragrande maggioranza pubblica e, quindi ripeto, i cui amministratori sono eletti dagli enti pubblici e che sottostanno mese dopo mese alle strategie dettate loro dai medesimi, devono sostenere gare pubbliche per vedersi confermate le gestioni dei servizi. Servizi spesso chiamati per l’appunto pubblici. E’ una contraddizione evidente, e per mille motivi. La politica europea, italiana e provinciale, contraddice sé stessa con lo scorrere degli anni. Non solo si va a vanificare una crescita patrimoniale, economica e professionale di molte pubbliche società, volute fortemente non molti anni fa, ma si corre il rischio di danneggiare i cittadini e gli stessi enti locali, Province e Comuni, che vengono a perdere il controllo di servizi e risorse, anche ambientali, di primaria importanza.

Io capisco l’esigenza di mantenere il libero mercato e favorire una corretta concorrenza, ma su certi settori produttivi non si può scherzare. Pensare, poi, di risolvere il tutto creando ulteriori societàin house”, ovvero con capitale totalmente pubblico, è un clamoroso autogol politico, una onerosa miopia amministrativa, un infausto anacronistico ritorno al passato che porterà solo costi e scarsa qualità. Quei servizi pubblici, infatti, richiedono continui investimenti e spesso non danno margini finanziari significativi e sufficienti. Sono gestioni che richiedono spalle larghe e lungimirante capacità di aggregazione territoriale. Ora ci si rifugia nella creazione di nuovi carrozzoni, le cosiddette societàin house”, che non hanno risorse, anzi le chiederanno anno dopo anno ai comuni o alle province, laddove il nostro debito pubblico, invece, deve improrogabilmente diminuire, e non di poco.

In sintesi, si mettono in grande difficoltà quei soggetti imprenditoriali a forte conduzione pubblica creati con intelligenza, impegno e fatica negli ultimi 20 anni, rischiando seriamente di vederli autodistruggersi, per l’incapacità e l’incuria di emanare quelle leggi che sappiano tutelare, solo per rimanere in Italia, decine di migliaia di capaci lavoratori e oltre 60 milioni di cittadini.

Questo vale, evidentemente, per il Parlamento Europeo, ma anche e soprattutto per quello italiano e per il nostro Consiglio provinciale trentino.

Faccio, in tal senso, un appello alla politica più seria, responsabile e lungimirante. Qui, più che mai, non si deve guardare all’oggi e alle prossime elezioni, bensì alle attuali e alle future generazioni, come ben ci ha più volte detto e lasciato scritto Alcide Degasperi.

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