Analisi congiunturale Unioncamere sull’Emilia Romagna, locomotiva d’Italia

Nonostante il rallentamento congiunturale, le imprese continuano a creare ricchezza e nuova occupazione. Dai mercati esteri segnali di allarme. Il clima di fiducia degli imprenditori si raffredda. 

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I numeri dell’analisi congiunturale Unioncamere sull’Emilia Romagna, realizzata in collaborazione con Confindustria Emilia Romagna e Intesa Sanpaolo, fotografano un’economia che continua a conseguire risultati positivi – in particolare per esportazioni e occupazione –, ma vi sono altri elementi che testimoniano come il quadro di incertezza che caratterizza lo scenario internazionale stia producendo effetti negativi anche in Regione.

Il volume della produzione delle piccole e medie imprese dell’industria in senso stretto dell’Emilia Romagna è sceso dello 0,8% rispetto all’analogo periodo del 2018, confermando la tendenza negativa del trimestre precedente (-0,7%). Con una perdita più marcata rispetto alla produzione, è il fatturato, ridottosi dell’1,2% rispetto all’analogo periodo del 2018. Con una flessione dello 0,1%, il fatturato estero ha peraltro decisamente contenuto la correzione.

Al rallentamento della dinamica di fatturato e produzione si è associata la conferma di una più pesante tendenza negativa del processo di acquisizione degli ordini, che ha subito una flessione tendenziale dell’1,7%. Si tratta di un segnale prospettico che fa riflettere. Anche i soli ordini pervenuti dall’estero hanno subìto una flessione tendenziale dello 0,6%, più contenuta di quella del complesso degli ordinativi. Il grado di utilizzo degli impianti si è attestato al 76,5%, un dato inferiore rispetto al livello del 78,1% riferito allo stesso trimestre dell’anno precedente.

«La nostra regione si conferma ancora una volta “la locomotiva del treno Italia – afferma il presidente di Unioncamere Emilia Romagna, Alberto Zambianchi –, treno che, purtroppo, viaggia più lento rispetto a quelli degli altri Paesi OCSE. Nonostante il perdurare della stagnazione della domanda interna, le nostre imprese continuano a creare ricchezza e nuova occupazione, soprattutto grazie ai mercati esteri. Ma proprio da oltre confine arrivano nuovi segnali di allarme, che, qualora dovessero trovare conferma per quanto riguarda l’entità degli effetti temuti, potrebbero avere pesanti ripercussioni sulla nostra economia».

A livello settoriale, la crescita procede bene per l’industria alimentare che ha registrato un aumento della produzione dell’1,7% e del fatturato dell’1,8% (grazie anche al potente apporto del mercato estero, +4,0%).  A livelli più contenuti per l’industria del legno e del mobile, dove l’inciampo del fatturato (-0,3%), appesantito dall’inversione di tendenza della componente estera (-2,0%), non ha impedito una ripresa della produzione (+1,0%).

Il passo indietro è evidente per l’ampio aggregato delle industrie meccaniche, elettriche e mezzi di trasporto che ha subìto una flessione del fatturato del 2,0%, nonostante un minore arretramento dalla componente estera (-0,7%). La produzione si è ridotta dell’1,4%.

Si consolida la tendenza negativa anche per l’industria metallurgica e delle lavorazioni metalliche: qui il fatturato complessivo si è ridotto del 2,3%, nonostante la migliore tenuta di quello estero (-0,9%) e la produzione ha seguito lo stesso andamento (-2,2%). E’ pesante la flessione per il sistema moda che attraversa la peggiore condizione congiunturale tra i settori considerati. La riduzione del fatturato complessivo (-3,6%) e in misura analoga di quello estero (-3,8%), si è accompagnata alla produzione (-2,1%).

L’evoluzione congiunturale del gruppo eterogeneo delle “altre industrie” (che comprende chimica, farmaceutica, plastica e gomma, ceramica e vetro) ha messo in luce un lievissimo aumento di produzione (0,2%), fatturato complessivo (0,4%) e ordini (0,1%), con forte incidenza della componente estera.

Riguardo alla dimensione d’impresa, nel secondo trimestre 2019 la flessione è stata generalizzata, ma l’andamento congiunturale è risultato meno grave al crescere della struttura aziendale. In particolare, la produzione è scesa di più (-2,6%) per le imprese minori, poi per le piccole imprese (-0,7%) e  infine per le imprese medio-grandi (-0,3%).

Sulla base dei dati del Registro delle imprese, quelle attive dell’industria in senso stretto regionale a fine giugno risultavano 44.577 (pari all’11,1% del totale), con una diminuzione corrispondente a 533 imprese (-1,2%) rispetto all’anno precedente, quando peraltro per la prima volta dal 2012 la variazione negativa si era ridotta al di sotto dell’1%.

Riguardo alla forma giuridica, sostanzialmente sono aumentate solo le società di capitale (+1,7%, +281 unità), giunte a rappresentare il 38,5% delle imprese attive dell’industria, grazie all’attrattività della normativa delle società a responsabilità limitata semplificata che ha invece determinato un effetto negativo sulle società di persone, (-439 unità, -4,6%).

Secondo l’indagine Istat, l’occupazione dell’industria in senso stretto dell’Emilia Romagna ha chiuso il secondo trimestre nuovamente in aumento, giungendo quasi a quota 562.000 unità, con una crescita dell’1,3%, pari a poco più di 7.000 unità, rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso. La variazione ha trascinato l’andamento dell’occupazione complessiva in regione negli ultimi dodici mesi (+2,1%, +41.000 unità) ed è andata ben oltre la tendenza positiva dell’occupazione dell’industria in senso stretto nazionale (+1,1%).

Ancora in base ai dati Istat relativi al commercio estero regionale, che prendono in considerazione le esportazioni effettuate da tutte le imprese che svolgono le operazioni doganali in regione, e quindi tracciano un quadro leggermente rispetto all’indagine congiunturale, nel primo semestre del 2019 si evidenzia un lieve rallentamento delle vendite all’estero. Le esportazioni di prodotti dell’industria manifatturiera hanno fatto segnare un significativo aumento (+5,0%), e sono risultate pari a quasi 32.169 milioni di euro. L’andamento regionale appare migliore rispetto al complesso della manifattura italiana, dove l’incremento è stato molto più contenuto (+2,7%).

Il segno positivo ha prevalso in quasi tutti i settori considerati. Eccezionale l’aumento delle vendite estere dell’altra manifattura (+58,7%), e in seconda battuta dell’industria dei mezzi di trasporto (10,4%). Più staccati per risultato, metallurgia e prodotti in metallo (+7,0%), chimica, farmaceutica, gomma e materie plastiche (+4,6%), industria alimentare e bevande (+4,4%), moda (+3,8%). L’importante industria dei macchinari e delle apparecchiature non è andata oltre una crescita delle esportazioni dell’1,2%.  Sostanzialmente fermo l’export delle industrie della ceramica e vetro, mentre arretrano le esportazioni dell’industria delle apparecchiature elettriche, elettroniche, ottiche, medicali e di misura (-1,2%) e dell’industria del legno e del mobile (-2,4%).

Per quanto riguarda le destinazioni, l’Europa si conferma come mercato fondamentale per l’export regionale. Le vendite sui mercati europei sono risultate pari al 65,5% del totale, con un moderato aumento del 3,2%. Le esportazioni verso la sola Unione europea (il 58,2% del totale) hanno mostrato nuovamente una tendenza più accentuata (+4,0%).

Si segnala, nell’area dell’euro, la crescita più contenuta in Germania e Francia (+1,6%), mentre la dinamica è superiore in Spagna (+3,8%). Oltre il perimetro dell’euro, prosegue il successo di vendite nel Regno Unito (+10,9%), anche in anticipazione della Brexit, mentre nei mercati fuori dell’Unione europea, tengono le vendite in Russia (+1,1%), mentre crollano in Turchia (-23,6%).

La crescita sui mercati americani si è consolidata al 3,2%, sostenuta dagli Stati Uniti (+3,4%) e dal Brasile (+7,4%). L’export regionale si rafforza in Asia (+17,2%), in particolare verso la Cina (+11,8%), con una vera esplosione per il Giappone (+78%). Le vendite in Africa tengono (+1,7%), quelle in Oceania mostrano segno rosso.

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