Anche Confindustria, dopo quanto già evidenziato dalle altre categorie imprenditoriali, conferma tramite il proprio Centro studi come le cifre contenute nella manovra finanziaria 2020 siano scritte sull’acqua, con molte ipotesi di difficile concretizzazione.
«La manovra finanziaria 2020 del governo giallo-rosso si profila la più restrittiva dai tempi del governo Letta: ma non vuole essere un giudizio negativo. La precedente legge di bilancio, infatti, aveva lasciato una ipoteca forte sui conti pubblici: è restrittiva per 8 miliardi di euro non considerando le clausole di salvaguardia» afferma il direttore del Centro studi di Confindustria (Csc), Andrea Montanino, nel rapporto di previsione “Dove va l’economia italiana e gli scenari di politica economica”, spiegando l’impatto e il peso dei 23,1 miliardi di euro necessari a sterilizzare le clausole di salvaguardia. Secondo il Csc, la parte di risorse destinate all’economia reale equivale a circa 5,5 miliardi, pari a 0,3 punti di Pil.
Sulla base degli obiettivi di deficit indicati nella Nadef, la manovra finanziaria 2020 sarà espansiva per 0,8 punti di Pil (15,3 miliardi). «In realtà – osserva Csc – la parte di manovra che inciderà effettivamente sull’economia reale si otterrebbe escludendo i 23,1 miliardi necessari ad annullare la clausola di salvaguardia. In questo caso il deficit tendenziale sarebbe il 2,7% del Pil e per portarlo all’obiettivo del 2,2% serve una manovra netta restrittiva per 0,5 punti di Pil, circa 8 miliardi di euro».
Il governo, prosegue il Csc, «intende presentare un disegno di legge di Bilancio che va oltre la sterilizzazione dell’Iva e che include l‘avvio del taglio del cuneo fiscale (0,15 punti di Pil per il primo anno) e alcune misure per il sostegno agli investimenti privati tra cui la proroga degli incentivi nell’ambito del programma industria 4.0. Nel complesso, la parte di risorse destinateall’economia reale equivale a circa 5,5 miliardi (0,3 punti di Pil). Le coperture arriverebbero a poco più di 14 miliardi, lo 0,8% del Pil»
Il Csc conferma la stagnazione dell’economia italiana, già delineata in primavera: secondo gli Scenari di politica economica di autunno, il Pil resterà fermo sia nel 2019 che nel 2020 sulla base di politiche invariate, cioè con aumenti di aliquote Iva e accise per 23,1 miliardi di euro e spese indifferibili per 2,7 miliardi. Se invece l’Iva non aumentasse, il tasso di crescita del Pil nel 2020 potrebbe essere leggermente positivo, pari a +0,4%. Il deficit in rapporto al Pil, però, sarebbe molto più alto, pari al 2,8%, rispetto all’1,7% previsto, e all’1,8% del 2019.
«Più che in passato – sottolinea il Csc – molto dipenderà dalle scelte di politica economica e in particolare di come il Parlamento italiano modificherà l’attuale legislazione, che prevede un aumento dell’Iva e delle accise» a partire dal 1 gennaio 2020. Secondo il Csc, l’economia italiana resterebbe comunque ancora sotto i valori pre-crisi: nello scenario a politiche invariate, il Pil è stimato attestarsi a fine 2020 poco sotto i livelli toccati nel 2011, ma ancora inferiori del 4,3% rispetto al massimo di inizio 2008. «Siamo ormai l’unico Paese dell’Eurozona – scrive il Csc – insieme alla Grecia, a non aver recuperato il calo degli anni della crisi». E gli effetti si vedono tutti.
Il rapporto deficit/Pil, nota il Csc, rimane identico per tre anni consecutivi, nonostante la riduzione della spesa per interessi nel 2020: «ciò rende difficile mettere il debito pubblico su un sentiero di riduzione, c’è un rischio molto elevato». Assumendo un andamento delle partite finanziarie e di alcune poste correttive (dismissioni e giacenze di liquidità) in linea con quelle registrate negli anni passati, un rapporto deficit/Pil al 2,2% non permetterebbe la riduzione del debito pubblico, ma al massimo una stabilizzazione. La crescita del Pil per il 2020 appare sovrastimata soprattutto nello scenario tendenziale (+0,4% con l’aumento delle imposte indirette); «è molto elevato il rischio di non rispettare la parte preventiva del Patto di stabilità e crescita», per il Csc.
La Commissione europea potrebbe richiedere una correzione già a novembre, oppure l’anno prossimo. Nelle stime del Governo, il rispetto delle regole europee si basa su due elementi: la stima dell’output gap negativo che riduce la correzione richiesta a 0,5 punti di Pil (da 0,6). Tale stima è molto più bassa di quella fatta dalla Commissione europea a maggio scorso; l’utilizzo completo della possibilità di deviare in modo non significativo dall’obiettivo di correzione (per 0,44 punti di Pil). Quest’ultima è prevista per tener conto di eventuali scostamenti riconducibili a un cambiamento del contesto macroeconomico.
Il Csc allarga lo sguardo all’impatto a due “mance” clientelari del precedente governo Conte: le domande pervenute per il Reddito di cittadinanza e Quota 100 sono state ben inferiori alle attese. Se da un lato l’utilizzo inferiore alle attese genera risparmi per lo Stato, dall’altro lato smorza l’impatto atteso su consumi e Pil. Per ciò che riguarda il Reddito di cittadinanza; le domande pervenute sono state molto inferiori alle attese e potrebbero esserci alla fine di quest’anno 200.000 nuclei beneficiari in meno. Nel caso di Quota 100 l’impatto atteso sui consumi agisce prevalentemente attraverso lo stimolo indotto dal graduale ricambio occupazionale.
Ma lo scenario complessivo rimane comunque estremamente preoccupante: per il Csc «l’Italia è in bilico sulla sogliadella crescita zero, tra ripresa e recessione e molto dipende da cosa si farà sull’Iva», con il rischio di «cadere in recessione in caso di nuovi shock» molto elevato.
A contribuire verso uno scenario negativo anche la dinamica dei consumi delle famiglie italiane che va «verso lo zero». La spesa delle famiglie italiane «è prevista crescere dello 0,3% quest’anno e fermarsi vicino allo zero il prossimo (-0,02%). I consumi delle famiglie sono caratterizzati, già negli ultimi trimestri, da una dinamica fiacca».
Per il Csc la crescita dello 0,6% del Pil per il 2020, prevista nell’aggiornamento al Def «appare sovrastimata» soprattutto nello scenario tendenziale che registra +0,4% con l’aumento delle imposte indirette» e il raggiungimento del deficit programmato per il 2020 al 2,2% del Pil «è problematico perché le coperture indicate nella Nadef non appaiono esaustive».
E se il governo BisConte, per il tramite del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, professa ottimismo («trovo una forte grado di convergenza tra la Nadef e il rapporto Csc sia nell’individuazione dei fattori negativi e positivi sia nella definizione dei possibili interventi necessari per rilanciare crescita e competitività, ma evidenzio come dal punto di vista della struttura dei numeri di base, il rapporto del Csc presenta alcuni elementi datati perché gli scenari sono pre-Nadef»), dalle opposizioni si spara a zero sulla manovra finanziaria 2020. Secondo Renato Brunetta, deputato e responsabile economico di Forza Italia, «il Centro Studi di Confindustria ha oggi smontato le previsioni di finanza pubblica del Governo, scrivendo che il raggiungimento di un deficit programmato per il 2020 al 2,2% del Pil “è problematico perché le coperture indicate nella Nadef non appaiono esaustive. Infatti, metà di esse sono riconducibili agli effetti di misure di contrasto all’evasione che per definizione sono entrate incerte o di tagli di spesa rinviati a una azione di revisione in corso d’anno”. CSC scrive anche che il rapporto deficit/Pil rimane identico per tre anni consecutivi, nonostante la prevista riduzione della spesa per interessi, rendendo difficile mettere il debito pubblico su un sentiero di riduzione. La crescita del Pil per il 2020 appare sovrastimata soprattutto nello scenario tendenziale (+0,4% con l’aumento delle imposte indirette); “è molto elevato il rischio di non rispettare la parte preventiva del Patto di stabilità e crescita”, per il CSC. Una chiosa pesante.
Brunetta non esclude affatto che in questa situazione la Commissione europea possa chiedere all’esecutivo BisConte una correzione dei conti già a novembre oppure l’anno prossimo. «E’ indispensabile procedere quanto prima a un’operazione verità e chiediamo al ministro Gualtieri di riferire al Parlamento prima di presentare la prossima legge di Bilancio».
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