Il mercato europeo dell’auto allargato all’area Efta, nel I semestre 2019 vede calare le vendite delle auto Diesel del 17% e crescere quello delle auto a benzina del 2,2%, con conseguente incremento delle emissioni climalternati. Il mercato europeo dell’auto ad alimentazione alternativa, dopo l’aumento medio nel 2018 del 28%, registra nel periodo gennaio-giugno 2019 una crescita del 27%, con 796.000 nuove immatricolazioni e una quota del 9,5% sul totale mercato. L’Italia, con circa 152.000 auto (+7%), vale il 21% del mercato auto a basso impatto ambientale (che comprende soprattutto veicoli ad alimentazione a gas metano e Gpl) dell’Unione Europea (era il 25% un anno fa) e il 19% del mercato UE/EFTA (era il 22,7% a gennaio-giugno 2018). L’Italia, pur mantenendo la posizione di vertice del mercato auto europeo ad alimentazione alternativa, è “inseguita” dalla Germania, che conquista il 18% del mercato UE/EFTA (pari a 142.000 unità), grazie ad una crescita dei volumi del 62%.
Esaminando l’andamento delle singole alimentazioni, nel I semestre 2019 il mercato UE28/EFTA delle autovetture nuove risulta in diminuzione del 3,1% rispetto all’analogo periodo del 2018, con 8,36 milioni di unità, secondo i dati pubblicati da ACEA.
Continua l’andamento negativo per il mercato delle auto diesel in calo tendenziale del 17%, pari ad una perdita di circa 544.000 unità e una quota di mercato del 31,5% (era del 36,8% un anno fa). Il Paese che registra la perdita in volumi di auto diesel più consistente è l’Italia (-141.000), a seguito di una contrazione delle vendite di auto diesel iniziata più tardi rispetto ai principali mercati europei. Seguono il Regno Unito (-83.000), Spagna (-80.000) e Francia (-80.000). In controtendenza invece la Germania, unico Paese in Europa, che registra invece un recupero di 18.000 vendite di auto diesel rispetto ad un anno fa (+3%). Nei cinque mercati principali è stato venduto il 76% delle auto diesel nuove immatricolate in UE/EFTA a gennaio-giugno 2019.
I Paesi che hanno vendite di auto diesel con quote superiori al 40% del proprio mercato sono solo Irlanda (47,5%) e Italia (42,6%). I Paesi che hanno quote di mercato di auto diesel inferiori al 20% sono Paesi Bassi (8,5%), Norvegia (15,0%) e Lituania (17,9%).
I Paesi Bassi hanno, invece, la quota di auto a benzina più alta tra i Paesi europei, pari al 76% del proprio mercato, e la Norvegia la più bassa, solo il 16,9% delle vendite. Le vendite di auto a benzina crescono del 2,2%, pari a 106.000 unità in più rispetto a gennaio-giugno 2018 e conquistano il 59% del mercato (3,1 punti in più di un anno fa).
Le vendite di auto ad alimentazione alternativa aumentano del 27%, pari a 171.000 unità in più rispetto ai primi 6 mesi 2018, con una quota del 9,5% sul totale venduto (era del 7,2% a gennaio-giugno 2018).
Sul fronte ambientale l’assurda agenda anti-diesel ha rallentato i progressi sui cambiamenti climatici. Secondo i dati provvisori pubblicati dall’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), nel 2018 le emissioni medie di biossido di carbonio (CO2) delle nuove autovetture immatricolate nell’Unione europea sono aumentate per il secondo anno consecutivo, arrivando a 120,4 grammi di CO2 per chilometro.
Dopo un costante calo dal 2010 al 2016, di quasi 22 grammi di CO2 per chilometro (g/CO2/km), le emissioni medie delle nuove autovetture sono aumentate nel 2017 di 0,4 g di CO2/km e, secondo i dati provvisori, il rialzo è proseguito con un aumento ulteriore di 1,9 g di CO2/km nel 2018.
Nel 2018, le auto a benzina sono state le più vendute nell’UE e in Islanda, costituendo quasi il 60% di tutte le nuove immatricolazioni. Le diesel hanno costituito il 36% delle nuove immatricolazioni, segnando un calo di 9 punti percentuali dal 2017 e 19 punti percentuali dal 2011, quando le auto diesel raggiunsero il picco con una quota del 55% di nuove immatricolazioni.
Nel 2018, le emissioni di CO2 delle auto diesel (121,5 g/CO2/km) sono mediamente molto vicine a quelle delle auto a benzina (123,4 g/CO2/km). La differenza di 1,9 g di CO2/km è stata la più bassa osservata negli ultimi 5 anni.
Circa 4,5 milioni del mercato europeo dell’auto e in Islanda nel 2018 sono SUV (quasi 1 su 3). Rispetto alle auto di un segmento simile, i SUV sono in genere più pesanti e hanno motori più potenti e aree frontali più grandi, tutte caratteristiche che aumentano il consumo di carburante. La maggior parte dei nuovi SUV venduti è alimentato a benzina, con emissioni medie di 133 g/CO2/km, che è di circa 13 g/CO2/km superiore alle emissioni medie di altre nuove auto a benzina.
Le vendite di veicoli elettrici ibridi plug-in (PHEV) e di veicoli elettrici a batteria (BEV), pur continuando ad aumentare, detengono solo il 2% del totale mercato (era l’1,5% nel 2017). Per raggiungere l’obiettivo dell’UE al 2021 di 95 g/CO2/km, occorre che la media delle emissioni si riduca ancora di 25,4 g/km rispetto al valore del 2018, un’impresa impossibile senza il contributo delle auto nuove diesel, che producono meno CO2 delle auto a benzina o senza un aumento esponenziale di auto elettriche, impensabile con l’attuale rete infrastrutturale di ricarica, con una maturità del prodotto non ancora ottimale specie per il prezzo e per l’autonomia, e senza un sostegno economico prolungato alla domanda, visto il mix del mercato.
I governi di tutta l’UE dunque devono intensificare gli investimenti nella ricarica e nel rifornimento di carburante delle infrastrutture e attuare significativi incentivi all’acquisto per i consumatori (come pagamenti di bonus e premi) per stimolare le vendite di auto a propulsione alternativa. Parimenti, sarebbe opportuno dirottare parte degli incentivi pubblici sull’elettrico sulla produzione di carburanti sintetici, che possono dare da subito un contributo tangibile all’abbattimento delle emissioni inquinanti agendo anche sulla totalità del parco già circolante, aspetto quest’ultimo quasi sempre trascurato dai decisori pubblici.
Le misure adottate in UE per sostenere la domanda di autovetture con bassissimi livelli emissivi sono piuttosto eterogenee e vanno dalle esenzioni delle imposte all’acquisto a quelle sulla tassa di proprietà, agli incentivi all’acquisto con o senza rottamazione di un’auto “vecchia”, alla libera circolazione nelle aree a traffico limitato o nelle corsie riservate agli autobus, al parcheggio gratuito, a sconti sul premio assicurativo.
Ad inizio settembre, l’Associazione europea dei costruttori di automobili (ACEA), Eurelectric e Transport & Environment (T&E), in occasione del vertice ACEA a Bruxelles sulla “Trasformazione della mobilità”, hanno chiesto alle istituzioni europeedi facilitare un rapido lancio dell’infrastruttura di ricarica intelligente a pagamento per i veicoli elettrici. È la prima volta che l’industria automobilistica, il settore elettrico e il gruppo verde dell’UE hanno unito le forze per perseguire un obiettivo comune: esortare i politici affinché sia garantito il “diritto di collegamento alla rete” a tutti coloro che usano un veicolo elettrico, in modo che tutti in Europa possano avere accesso alla ricarica che dovrebbe essere altrettanto semplice come il rifornimento di carburante oggi.
Serve dunque una diffusione capillare di infrastrutture di “ricarica intelligente” strategicamente posizionate in tutta l’UE. Le infrastrutture intelligenti consentiranno ai conducenti di ricaricare senza compromettere gravemente o sovraccaricarele reti elettriche europee, oggi a serio rischio. L’industria automobilistica e l’industria elettrica hanno confermato il proprio impegno a fare investimenti più mirati sia nella tecnologia dei veicoli che nelle soluzioni di ricarica intelligenti.
Gli ambiziosi obiettivi post 2021 sono ancora più stringenti e non tengono conto dell’attuale realtà tecnica ed economica e di alcuni fattori che non dipendono dall’industria automotive europea, come l’approvvigionamento delle materie prime utili a produrre le batterie, le cosiddette “terre rare”, indispensabili per la loro fabbricazione e per quella dei circuiti elettronici presenti nelle auto elettriche ed elettrificate. Come è stato per il petrolio, oggi le “terre rare” possono diventare un’arma strategica, in mano solo ad alcuni Paesi nel mondo, come la Cina, che nel 2018 ha prodotto il ben 71% delle “terre rare” estratte nel mondo, conquistando il primo posto nel mondo come Paese produttore ed esportatore. La Cina ha rappresentato l’80% di tutti i minerali delle “terre rare” importati dagli Stati Uniti tra il 2014 e il 2017, che sono risultati tra le poche merci non colpite dalle tariffe statunitensi nella recente escalation della guerra commerciale USA-Cina.
È evidente quanto la ricerca tecnologica in questo settore sia fondamentale, in particolare per l’Europa. Oltre agli investimenti servono competenze (sovente attinte in Asia) e formazione delle persone. Le emissioni di CO2 delle auto nuove dovranno ridursi ancora del 37,5% dal 2020 al 2030, con un obiettivo intermedio del 15% al 2025. Della stessa proporzione il taglio richiesto al 2025 per le flotte di furgoni e pulmini, per i quali il target al 2030 è fissato al 31%. Per i camion la riduzione di CO2 è del 15% al 2025 e del 30% al 2030. Obiettivi probabilmente un po’ troppo ambiziosi, oltretutto circoscritti ad un settore, quello della mobilità di persone e merci, che ha ridotte responsabilità nelle emissioni inquinanti e climalteranti rispetto alla totalità delle emissioni che sono ascrivibili all’industria e al riscaldamento domestico, dove il regolatore comunitario e nazionale fa ancora poco o nulla.
A questo link è scaricabile il focus completo realizzato dall’Anfia/Acea.
Per rimanere sempre aggiornati con le ultime notizie de “Il NordEst Quotidiano”, consultate i canali social:
Telegram
https://twitter.com/nestquotidiano
https://www.linkedin.com/company/ilnordestquotidiano/
https://www.facebook.com/ilnordestquotidian/
© Riproduzione Riservata