Peste suina in Cina: è allarme prezzi sulla materia prima e sui salumi

Riflessi sui costi della materia prima (+40%) sulla filiera italiana che non si scarica sul prezzo finale dei salumi. Appello di Assica: «riconoscere alla produzione gli incrementi di prezzo all’origine pena il dissesto della filiera». 

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Negli ultimi tempi si è assistito ad un forte rincaro della carne suina dovuta principalmente al forte aumento della domanda in Cina a seguito della rapida diffusione della peste suina africana, malattia che colpisce esclusivamente i suini e non ha alcuna implicazione per l’uomo, ma la cui diffusione può essere fermata unicamente con l’abbattimento dei capi infetti. Per capire la proporzione del danno, basti pensare che in Cina sono presenti 440 milioni di maiali e che questa epidemia ne ha decimato oltre il 20%. Un danno quindi ingente e non paragonabile a nessuna altra situazione verificatasi precedentemente.

«La situazione del settore suinicolo è molto preoccupante: senza adeguamenti dei prezzi finali è a rischio la nostra filiera», afferma senza mezzi termini Nicola Levoni, presidente di Assica (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi, aderente a Confindustria).

In un mercato come quello europeo, caratterizzato da consumi deboli (le prime stime della Commissione parlano di un -1,4% nel 2019) e da una produzione di carne suina stabile è difficile immaginare dinamiche dei prezzi più favorevoli almeno fino al 2020, quando la produzione di carni suine dovrebbe tornare a crescere, una volta debellata la peste suina in Cina, compensando almeno in parte la maggiore domanda estera.

«Per l’industria di trasformazione, il costo della materia prima – spiega Levonirappresenta in genere circa il 50% e in alcuni casi il 75% del costo totale di produzione. Incrementi come quelli che si stanno registrando, ossia +40% da marzo a oggi, rischiano, se non riconosciuti, di mandare in tilt il sistema. L’industria manifatturiera appare in questo momento compressa fra i prezzi alti della materia prima e le richieste di contenimento dei prezzi di vendita per sostenere i consumi».

Condizioni di mercato che, secondo Levoni, «mettono seriamente a rischio non solo l’eccellenza qualitativa delle nostre produzioni di salumeria, ma la continuità stessa delle produzioni e la stabilità produttiva dei salumifici e in ultima istanza dell’intera filiera di produzione. Le dinamiche in corso suggeriscono la necessità di procedere urgentemente ad un confronto con tutte le componenti della filiera – dall’allevatore al consumatore – affinché venga preservata la qualità di un patrimonio ricco di cultura, tradizioni e storia come quello rappresentato dalla grande varietà dei salumi italiani».

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