Nonostante i dubbi e le polemiche iniziali, dopo 11 mesi dall’applicazione in forma provvisoria del Ceta (l’accordo di libero scambio tra Unione Europea e il Canada) sta facendo crescere l’export italiano nel paese americano, con un rapporto import-export è più o meno 1 a 3: per ogni prodotto canadese che entra in Italia, ce ne sono tre, italiani, che migrano oltreoceano, destinazione Ottawa.
Di fatto, guardando ai dati elaborati dal Centro Studi di Sace, il Ceta si sta rivelando un affare più per l’Italia che per il Canada, così come sta accadendo anche per il Giappone. Il “Made in Italy” in Canada nei primi 5 mesi (gennaio-maggio) del 2019 ha fatto registrare grazie al Ceta un +12,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, pari a oltre 3,5 miliardi di euro. A trainare il risultato gli ottimi risultati della meccanica strumentale (+21,4%) che rappresenta anche il primo settore di esportazione, seguito a ruota dalla farmaceutica (+39,6%). Molto bene anche i metalli (che hanno fatto registrare un +30,8%) e i due settori tipici – alimentari e bevande (+1,6%) e tessile e abbigliamento (+5,7%) – i cui incrementi sono, seppur di minore entità percentuale, in crescita sostenuta da anni.
«In Italia – ha affermato Pierluigi Ciabattoni, senior economist di Sace (Gruppo Cdp) – ci sono 13.000 aziende che esportano in Canada e sono 63.000 i posti di lavoro, in Italia, che le esportazioni della Ue in Canada aiutano a sostenere. Eppure abbiamo una quota di mercato pari all’1,5% in Canada, contro il 3,2% della Germania. Nel 2018, abbiamo esportato beni per 4,1 miliardi di euro, in crescita del +4,4% sul 2017. E prevediamo che nel Paese l’export crescerà del 4,6% l’anno, tra 2019 e 2022. Con accelerazioni soprattutto su agroalimentare, tessile e farmaceutica».
Risultati che dovrebbero spingere anche l’Italia, dopo la Francia, a ratificare definitivamente il trattato Ceta, superando i dubbi e i contrasti finora posti dalla maggioranza di governo uscente M5s–Lega. Soprattutto alla luce del fatto che sul nodo della tutela dei prodotti tipici agroalimentari italiani da parte del Canada c’è un’apertura sostanziale ad allargare il numero delle indicazioni geografiche garantite nella prima stesura del trattato Ceta (41 su 300) grazie all’approvazione in Canada della nuova normativa che consente di ampliare il numero delle registrazioni protette previa domanda da parte dei soggetti interessati. Un’apertura che ha portato pure il ministro all’agricoltura uscente, il leghista Gian Marco Centinaio, a dichiararsi non contrario alla ratifica del Ceta, a patto di potere aggiungere nuove indicazioni geografiche, facendo rientrare tutti i prodotti Dop e Igp rimasti esclusi nella prima stesura.
Prima che il Ceta sia definitivamente operativo serve l’approvazione all’unanimità da parte di tutti i parlamenti dei paesi europei e in mancanza di uno solo l’accordo non può entrare in vigore e pure l’applicazione provvisoria finora in vigore cessa immediatamente.
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