Si è parlato di Regioni e autonomia differenziata al Meeting per l’amicizia fra i popoli di Rimini, nel dibattito cui hanno partecipato il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, il presidente della Sicilia, Nello Musumeci, il presidente della Liguria, Giovanni Toti e quello del Trentino, Maurizio Fugatti.
L’art. 116 della Costituzione, al terzo comma, prevede che le Regioni ordinarie possano chiedere competenze maggiori rispetto a quelle previste dalla Carta. Una finestra che consentirebbe alle Regioni a Statuto ordinario di avvicinarsi a quelle a Statuto speciale. Alcune lo hanno fatto, spingendo anche le altre a pronunciarsi pro o contro un allargamento delle Autonomie regionali. Siamo di fronte ad un cambiamento radicale della struttura dello Stato nazionale, in senso regionalista o federalista? O non sarebbe meglio prendere una (ulteriore) pausa di riflessione? Questa la domanda a cui i governatori invitati erano chiamati a rispondere.
Bonaccini ha sottolineato come questa sia una questione che l’Italia non ha mai voluto affrontare veramente. La riforma del Titolo V del 2001 ha per la prima volta aperto uno spiraglio all’Autonomia differenziata, ma l’ignoranza sul tema rimane abissale. L’Emilia Romagna ha sottoscritto a suo tempo un preaccordo con il governo. «Per me i confini dello Stato sono sacri – ha detto, a scanso di equivoci – ma se la mia Regione ha i conti in ordine, servizi di qualità offerti ai cittadini, un’economia che “corre”, perché nel rispetto della Costituzione, non può esercitare poteri più ampi? Ne trarrebbe beneficio anche il resto del Paese».
Fugatti ha detto «siamo un piccolo territorio, che gestisce i poteri di un piccolo Stato con risorse che sulla carta sono pari al 90% delle entrate fiscali, ridottesi pel la verità, in seguito alla crisi, al 70-75%. Tutto questo implica l’esercizio di una forte responsabilità, perché se chi amministra sbaglia il cittadino sa chi è e dove andarlo a prendere. Personalmente sono favorevole all’allargamento delle competenze delle regioni ordinarie che dimostrano di amministrare bene. La sfida quindi è gestire i servizi a livello locale in maniera migliore rispetto allo Stato, facendo anche risparmiare delle risorse. Tutto questo promuovendo sviluppo territoriale e non assistenzialismo». Da Fugatti anche un affondo legato alla recente evoluzione politica nazionale: «se nasce, il Governo che si sta delineando a Roma è molto lontano dalle Regioni del Nord e da chi le amministra, e così dal Federalismo».
Fedriga ha portato alla platea la specialità del Friuli Venezia Giulia, precisando che anche all’interno delle regioni speciali vi sono differenze molto grandi, in ordine alle competenze, alle risorse, al percorso storico. L’Autonomia del Friuli Venezia Giulia parte nei primi anni 60. «L’esperienza fatta dimostra che le autonomie non tolgono risorse alle altre Regioni, soprattutto del Sud. La nostra Regione non chiede a Roma risorse in più, chiede di poter gestire le stesse risorse che lo Stato centrale già spende per gestire sul territorio una determinata competenza, ad esempio la sanità. Se riusciamo a gestire una competenza spendendo di meno rispetto allo Stato, possiamo gestire i risparmi realizzati offrendo qualcosa di più ai cittadini». Fedriga, riprendendo un concetto espresso da Fugatti, ha ribadito come «l’Autonomia va di pari passo con la responsabilità».
Il presidente della Lombardia Fontana a sua volta ha sottolineato il connubio responsabilità–efficienza: «l’Autonomia è la secessione dell’efficienza dall’inefficienza. Ma noi vogliamo che tutto il Paese diventi efficiente e venga messo nella condizione di competere alla pari degli altri. Il Sud stesso avrebbe il dovere di essere messo alla prova. Tanti giovani iniziano a capirlo, che bisogna abbandonare l’eccesso di centralismo statale, che rende il Sud schiavo dell’assistenzialismo».
Musumeci ha portato la posizione di una regione del Sud, la Sicilia, già dotata di un’Autonomia speciale. «Il progetto di costruzione del regionalismo differenziato non è stato portato a termine. – ha detto –. Se nel Sud vi sono oggi diffidenze e scetticismo è perché è mancato un tavolo attorno al quale le Regioni avrebbero dovuto confrontarsi ed affrontare il tema. E’ legittimo che una regione del Sud si chieda che ne sarà della perequazione fiscale, cioè del principio di solidarietà su cui si fonda la Costituzione italiana, con il regionalismo differenziato. A ciò si sommano i mali del Meridione ben noti, su cui dobbiamo fare autocritica: assistenzialismo, fatalismo e così via. Ma oggi il Sud vuole voltare pagina».
Toti infine ha detto ironicamente che la nostra Costituzione sembra talmente bella che nessuno ha il coraggio non solo di modificarla, ma persino di applicarla, perché un articolo costituzionale su questo tema c’è già. «Nel paese dei comuni, degli 8.000 campanili, in passato il nostro punto di forza, siamo riusciti nel capolavoro di rimanere divisi ed al tempo stesso di appiattire tutto sotto una legislazione prima nazionale e poi europea. Non abbiamo né un centralismo davvero efficace e potente né un’autonomia territoriale e comunale che consentano di liberare le energie presenti sui territori. Abbiamo due tabù: il primo è il decentramento, il secondo la sussidiarietà pubblico-privata».
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