Profonde radici nel territorio, capaci di innovare e creare nuova e buona occupazione: questo il profilo tipo della cooperazione in Emilia Romagna. Con 14,2 miliardi di valore aggiunto, prodotto da quasi 5.000 imprese che occupano 243.000 lavoratori, la cooperazione in Emilia Romagna contribuisce alla formazione del Pil regionale per il 9,8%.
Negli ultimi dieci anni la cooperazione in Emilia Romagna ha creato 27.400 nuovi posti di lavoro, una crescita del 12,5% nettamente superiore al 3,5% registrato dal totale delle imprese regionali. La metà di esse ha dimostrato resilienza, vale a dire che negli ultimi 5 anni hanno aumentato il fatturato e hanno mantenuto o incrementato l’occupazione.
Questo il profilo del settore emerso durante la IV Conferenza regionale della cooperazione, incentrata sul tema “Lavoro, territori e cittadinanza attiva: gli ingredienti dell’innovazione sociale” che si è tenuta nella sede della Regione a Bologna. L’appuntamento in Emilia Romagna ha preso spunto, come ogni anno, dalla Giornata Internazionale delle cooperative, indetta per sabato 6 luglio dall’Onu, dedicata al “lavoro dignitoso”.
Il settore della cooperazione in Emilia Romagna occupa il 14% del totale della forza lavoro regionale, in crescita dell’1,5%rispetto al 2018. Negli ultimi 5 anni l’occupazione è cresciuta principalmente nei settori agricoltura, ristorazione e sociale, mentre è diminuita nelle costruzioni e nei servizi alle imprese. A marzo 2019 le cooperative attive in Emilia Romagna sono 4.913, il 2,2% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Aggregando le cooperative per filiera, nell’ultimo quinquennio a crescere in termini di numero di società e di addetti sono le cooperative della filiera della cura e del benessere delle persone (tra cui il sociale), quelle che offrono servizi ad alta intensità di conoscenza (i più avanzati). In forte crescita le cooperative che si occupano di tecnologia, ancora numericamente poco rilevanti, ma molto importanti dal punto di vista strategico.
«Da parte della cooperazione emiliano romagnola– ha sottolineato il presidente della Regione, Stefano Bonaccini – emerge la capacità di costruire processi di straordinaria innovazione sociale, facendo interagire le diverse componenti della comunità regionale. Un know how e un’esperienza da valorizzare, un patrimonio da mettere a disposizione della nostra economia, in un contesto in cui sempre di più l’innovazione sociale deve diventare metodo e collante di coesione territoriale, capace di generare ricadute positive nel contesto locale in termini di sostenibilità».
«La cooperazione – secondo lo scenario illustrato da Guido Caselli, direttore del centro studi e statistica e vicedirettore di Unioncamere Emilia Romagna – è una realtà che ha saputo intercettare le leve della crescita di questi anni, dalla cura e benessere delle persone fino alla tecnologia, avviando un percorso di rinnovamento in importanti comparti strategici benché abbia faticato in alcuni settori industriali, in particolare nelle costruzioni. Il percorso di rinnovamento e il tentativo di adattarsi ai cambiamenti della società lo si legge nelle attività che caratterizzano le cooperative di nuova costituzione, tutte concentrate in tre ambiti, ancora una volta cura e benessere delle persone e tecnologia a cui si aggiunge l’agroalimentare. Rinnovamento di cui troviamo evidenza anche tra le 17 cooperative classificate come startup innovative, attive nel campo della tecnologia, della ricerca e sviluppo, del sociale e dei servizi avanzati alle imprese».
Tra gli elementi di innovazione sociale, e di politica attiva del lavoro, sostenuti dal mondo della cooperazione ci sono i cosiddetti “workers buyout” (Wbo), dipendenti di imprese in difficoltà rilevate e trasformate in cooperative. Oggi in Emilia Romagna di queste nuove imprese se ne contano 105, di cui 12 da tavoli di crisi regionali, con 1.581 posti di lavoro salvati.
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