Trasporto sostenibile, sviluppo e ambiente: non è vero che chi più inquina più paga, e l’auto elettrica, al momento, non è propriamente un “miracolo a impatto zero”, visto che la produzione della batteria e dell’energia che essa immagazzina inquina come e più di una moderna auto Diesel Euro 6.
Tracciare rotte di sostenibilità, sfatando (anche) alcuni luoghi comuni, è lo scopo della conferenza organizzata da Confcommercio e Conftrasporto, che hanno chiamato a raccolta esperti e addetti ai lavori per un confronto su realtà e prospettive del trasporto sostenibile.
Punto di partenza, l’analisi realizzata dalla Confederazione in collaborazione con l’Isfort; ad alimentare il dibattito, le relazioni di Ernesto Taurino (Ispra), Maria Lelli (Enea), Dario Soria (Assocostieri), Antonio Cernicchiaro (Unrae), Enrico Allieri (Assarmatori) e Pasquale Russo, segretario generale Conftrasporto-Confcommercio.
Per il vicepresidente di Conftrasporto Paolo Uggè, «l’innovazione e la sostenibilità sono il futuro del trasporto, ma sono necessari incentivi, meno burocrazia e l’applicazione di una politica unitaria a livello europeo che, assieme alle condivisibili misure previste sul piano ambientale, faccia valere il principio della libera circolazione delle merci».
Il riferimento è al paradosso dei pedaggi ai valichi alpini e del “dosaggio” dei Tir al b, in violazione di quel principio, con il “pretesto” della salvaguardia ambientale. A rendere necessario un cambio di visione, e di azione, ci sono altri elementi, che smentiscono alcune convinzioni comuni. Lo studio di Conftrasporto e Isfort considera gli effetti dell’inquinamento sulla salute umana da un lato, e sull’atmosfera dall’altro (i cosiddetti gas serra). Per la salute umana (soprattutto il particolato – PM 10 e PM 2,5) sono molto più dannose le emissioni del riscaldamento (38%) e degli allevamenti animali (15,1%) che quelle prodotte dall’autotrasporto (7,1%). La produzione di energia – in particolare quella generata dai motori a combustione – è in buona parte responsabile delle emissioni dannose per l’atmosfera, quindi causa del riscaldamento globale (soprattutto CO2). Tuttavia è bene segnalare che negli ultimi 10 anni il suo impatto è decisamente calato e che il trasporto merci su strada rappresenta una quota minoritaria rispetto al peso delle automobili private.
La soluzione per una mobilità a basso impatto ambientale è l’auto elettrica? Su questa nuova frontiera, quel che si dice a proposito del suo “impatto zero” è solo una mezza verità. Le considerazioni di Isfort e Conftrasporto partono da recenti studi dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, che ha approfondito il tema delle emissioni nel complesso del ciclo energetico legato al mondo dei veicoli elettrici.
«I processi di produzione dell’energia elettrica necessaria a ricaricare le batterie hanno un impatto considerevole – dice lo studio di Conftrasporto Isfort -. Nei Paesi con poche o inadeguate fonti rinnovabili, l’uso delle vetture elettriche è in termini ambientali addirittura più dannoso di quelle a diesel o benzina. E anche le ricadute sulla salute si accentuano notevolmente soprattutto nelle fasi di estrazione e lavorazione delle materie prime per la produzione delle batterie». Poi, altro elemento da non trascurare è il costo di smaltimento delle batterie a fine vita, che va a pesare per qualche migliaio di euro.
Altro elemento cui porre mano è il costo sproporzionato che i Tir meno inquinanti pagano attualmente in termini fiscali. «L’autotrasporto – spiega l’indagine – versa in accise sul gasolio il doppio rispetto ai danni generati all’ambiente, con il paradosso che i mezzi meno inquinanti sono i più penalizzati: un Euro 6 sborsa 8.650 euro all’anno in più rispetto al danno ambientale prodotto. Se rinnovare il parco circolante è sacrosanto e indispensabile, bisogna incentivarlo correggendo anche queste storture».
Che il rinnovo del parco mezzi sia ormai improrogabile lo dimostrano anche i dati: «il parco circolante italiano ha un’età media di oltre 13 anni, e i veicoli superiori alle 3.5 tonnellate in circolazione ante Euro 4 sono il 61,7% del totale – afferma Antonio Cernicchiaro vice direttore di Unrae –. Bisogna rendere strutturale il sostegno agli investimenti, costruire un piano di incentivazione al rinnovo del parco basato sul principio “chi più inquina ed è meno sicuro, più paga”».
Pur dichiarando il peso del trasporto su strada per le emissioni di azoto e Pm10, Ispra afferma che il percorso intrapreso verso una maggiore sostenibilità ha portato a un calo delle emissioni di entrambe le sostanze, rispetto al 1990, di oltre il 60%. «C’è ancora un grande potenziale di miglioramento, nell’ottica di una pianificazione integrata dei sistemi di trasporto, produttivi, energetici, urbani», spiega Ernesto Taurino.
«Il trasporto marittimo – dichiara Enrico Allieri di AssArmatori – sia in ragione della sua alta efficienza energetica sia grazie al progressivo contenimento delle emissioni nocive da parte delle navi (dal 2020 la massima quantità di zolfo ammissibile nei combustibili navali passerà su scala globale dal 3,5% allo 0,5%) rappresenta una soluzione di “sostenibilità” sociale, economica e ambientale».
Sul fronte marittimo, il prossimo passo verso un’ancora maggiore sostenibilità sarà l’utilizzo di combustibili più “puliti”, come il gas naturale liquefatto (LNG), che chiede adeguate infrastrutture e un’efficace connessione tra autostrade, ferrovie e porti. C’è ancora molto da fare: i depositi costieri autorizzati per l’LNG sono soltanto tre (due ad Oristano, uno a Ravenna). Fra le richieste di Conftrasporto-Confcommercio, agevolazioni che favoriscano una rapida diffusione del LNG.
«Chiediamo inoltre che i depositi costieri vengano inseriti tra le infrastrutture che godono dei benefici fiscali previsti per le ZES nonché l’esenzione d’accisa, al pari degli altri combustibili per la navigazione, per sviluppare un mercato concorrenziale», spiega Dario Soria di Assocostieri. Se la filiera verrà opportunamente sviluppata anche attraverso questi strumenti, l’Italia potrà raggiungere parametri di sostenibilità invidiabili e diventare un hub di riferimento per l’approvvigionamento del settore.
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