La bioeconomia italiana al vertice in Europa

Fatturato di settore ad oltre 330 miliardi di euro annui, 2 milioni di posti di lavoro e l’obiettivo di arrivare a un incremento del 15% entro il 2030. 

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L’analisi della futura strategia dell’Unione Europea, che punta a investire tra gli 8 e i 10 miliardi di euro sulla competitività della bioeconomia, e le positive ricadute in fatto di rigenerazione ambientale, tutela della biodiversitàe incremento dei posti di lavoro è stata al centro della conferenza tenuta dall’Accademia Nazionale di Agricoltura al Cubiculum Artistarum del Palazzo dell’Archiginnasio di Bologna, e ha visto al relazione del prof. Fabio Fava, Universitàdi Bologna e rappresentante italiano per la bioeconomia nella Comunità Europea.

I numeri della bioeconomia in Italia e in Europa

«Della bioeconomia fanno parte i vari comparti della produzione primaria: agricoltura, allevamento, foreste, pesca e acquacoltura, i settori industriali che utilizzano o trasformano le bio-risorse provenienti da detti comparti, come l’industria alimentare e dei mangimi, quella della cellulosa, della carta e della lavorazione del legno, unitamente alle bioraffinerie, ossia parte dell’industria chimica e di quella dell’energia, e a parte dell’industria marino-marittima – ha esordito Fava -. In Europa la bioeconomia ha un fatturato annuo di circa 2.300 miliardi di euro con più di 18 milioni di posti di lavoro. La bioeconomia italiana è terza in Europa, dopo quella tedesca e quella francese, con un fatturato annuo di oltre 330 miliardi di euro e quasi 2 milioni di posti di lavoro. Il nostro Paese è, inoltre, secondo in Europa in termini di ricerca ed innovazione (come presenza nei progetti finanziati dalla Commissione europea nell’ambito della bioeconomia) e spesso il primo in termini di ricchezza in biodiversità, prodotti innovativi e di qualità immessi sul mercato, ma richiede maggiore coordinazione tra ministeri e fra ministeri e regioni, come fra gli attori del settore pubblico e privato attivi nei diversi ambiti della bioeconomia».

Le positive ricadute sull’ambiente e sulla società

«Oltre a questo, la bioeconomia, con la sua possibilità di produrre di alimenti e mangimi di migliore qualità in maggiore quantità, ma anche composti chimici e combustibili biocompatibili da materia prima rinnovabile alternativa al petrolio, garantendo in questo modo sicurezza e qualità alimentare, riduzione degli inquinamenti ambientali e dei cambiamenti climatici, rappresenta la principale soluzione alla crescente richiesta di cibo derivante dalla progressiva crescita della popolazione mondiale e alla diminuzione delle materie prime tradizionali e non rinnovabili – ha detto Fava -. Non solo, la bioeconomia rigenera l’ambiente, limita la perdita di biodiversità e le grandi trasformazioni nell’uso del suolo, creando nuova crescita economica e occupazionale, soprattutto giovanile, a

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Gianpietro Venturi (a sx) e il relatore Fabio Fava

partire dalle specificità e le tradizioni locali, in particolare nelle aree rurali, costiere e industriali provate dall’attuale crisi economica. Infine, – ha continuato Fava -, l’uso efficiente delle risorse biologiche rinnovabili, con una produzione primaria più sostenibile e sistemi di trasformazione più efficienti per la produzione di alimenti, fibre e altri prodotti a base biologica con un minor utilizzo di fattori produttivi, minor produzione di rifiuti e di emissioni di gas serra, come la valorizzazione dei rifiuti organici provenienti dall’agricoltura, dalle foreste, dalle città e dall’industria (in primis alimentare), garantiscono alla bioeconomia un ruolo chiave nell’ambito dell’economia circolare».

Tra gli 8 e 10 miliardi di euro a sostegno della bioeconomia europea

«L’implementazione delle azioni menzionate poc’anzi richiede ricerca e innovazione diretta a rafforzare gli ambiti produttivo-industriali menzionati sopra e ad integrarli, creando nuove o più lunghe catene di valore, calate sul territorio, unitamente ad azioni di formazione ed informazione specifiche – ha poi proseguito Fava -. Serve anche una visione condivisa fra le istituzioni e i principali attori pubblico-privati del settore relativamente alle opportunità economiche, sociali ed ambientali dello stesso, alle sfide connesse all’attuazione di una bioeconomia integrata nel territorio e alle azioni di implementazione necessarie. L’Europa si è data già nel 2012 una strategia ambiziosa nel settore, prevedendo importanti finanziamenti a sostegno di ricerca e innovazione nell’ambito di Horizon 2020 e della Public Private Partnership “Bio-based Industries”, nonché la creazione del “Bioeconomy Panel”. Se n’è recentemente data un’altra, una versione rivista rispetto alla precedente, che sarà di indirizzo per il futuro programma quadro, Horizon EU, che vedrà fra gli 8 e 10 miliardi di euro di sostegno di ricerca e innovazione alla Bioeconomia».

La strategia nazionale italiana

«Di qui dunque la decisione dell’Italia di dotarsi di una prima strategia nazionale sulla bioeconomia nel 2016, la “Strategia italiana per la bioeconomia” (BIT), presentata nel 2017, sottoscritta da 5 ministeri (Politiche agricole, alimentari e forestali; Istruzione, università e ricerca; Sviluppo economico; Ambiente, tutela del territorio e del mare; Coesione territoriale e Mezzogiorno), la Conferenza delle regioni e delle province autonome, l’Agenzia per la coesione territoriale e i Cluster tecnologici nazionali per la Chimica verde (SPRING) e l’Agri-food (CLAN). Ma – ha sostenuto Fava –  anche quella di averne una aggiornata, una BIT II, che tenga conto delle nuove opportunità del paese e delle priorità individuate dalla strategia europea del 2018. Alla stessa hanno partecipato 4 ministeri (Politiche agricole, alimentari e forestali; Istruzione, università e ricerca; Sviluppo economico; Ambiente, tutela del territorio e del mare), la Conferenza delle regioni e delle province autonome, e i Cluster tecnologici nazionali per la Chimica verde (SPRING) e l’Agri-food (CLAN) e la crescita blu».

Gli obiettivi italiani per il futuro

«La strategia si pone come obiettivo al 2030 di conseguire un incremento del 15% delle attività economiche e dei posti di lavoro attualmente riconducibili alla bioeconomia italiana. Le azioni previste – ha concluso Fava – per raggiungere l’obiettivo sono due. La prima migliorare la produzione sostenibile e di qualità dei prodotti in ciascuno dei settori (da quelli della produzione primaria a quelli della trasformazione), sfruttando in modo più efficiente le interconnessioni fra gli stessi, con una valorizzazione puntuale della biodiversità sia terrestre che marina, dei servizi ecosistemici e della circolarità, la creazione di nuove catene del valore, più lunghe e maggiormente radicate nel territorio, che possano consentire la rigenerazione di aree abbandonate, terre marginali e siti industriali dismessi. La seconda creare maggiori investimenti in ricerca e innovazione, spin off/start-up, istruzione, formazione e comunicazione; migliorare il coordinamento tra soggetti interessati e politiche a livello regionale, nazionale e comunitario; migliorare il coinvolgimento del pubblico, e condurre azioni mirate allo sviluppo del mercato dei prodotti biobased. Le azioni dell’agenda strategica della bioeconomia e le priorità sono accompagnate da misure dirette a garantire le condizioni quadro necessarie alla sua effettiva attuazione».

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