Un referendum per Alitalia

Decidano democraticamente i cittadini sul futuro di una compagnia di bandiera decotta e ormai irrecuperabile, ma che il Governo si sforza in ogni modo di tenere a galla scaricandone i costi sui contribuenti tutti.  Di Dario Balotta presidente Onlit 

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referendum per alitalia

Un referendum per Alitalia. In una situazione di stallo che si protrae da ormai troppo tempo, dove governi di ogni colore sono stati incapaci di decidere, l’unico mezzo per sbloccare la vicenda Alitalia sembra essere l’appellodiretto ai cittadini: decidano loro, con un referendum popolare, se continuare o no a tenere in vita con i soldi pubblici una compagnia di bandiera decotta in amministrazione straordinaria dal 2017.

Non sembra esserci altro mezzo per sapere se l’accanimento terapeutico di tutti i governi che si sono succedutinegli ultimi vent’anni – e che è costato fin qui ai contribuenti ben 8,6 miliardi di euro – sia apprezzato dai cittadini. Costi che potrebbero pure aumentare: l’allungamento dei tempi della cessione fa crescere le preoccupazioni che il danaro per pagare i fornitori, gli stipendi, il carburante, i leasing degli aerei e i servizi aeroportuali finiscano prima che arrivi una nuova proprietà. Nuova proprietà sempre annunciata come imminente, ma mai nei fatti appalesatasi.

L’ultimo “aggiornamento” di questa terapia fatta a suon di aiuti di Stato mascherati da salvataggi definitivi, prestiti ponte, fondi per continuità territoriale con la Sardegna, compensi non pagati agli scali italiani, una scandalosa cassa integrazione d’oro (che dura senza interruzioni dal 2008), è stato l’aumento della tassa d’imbarco – istituita nel 2008 – che l’ultima legge di Bilancio ha portato da 3 a 5 euro per passeggero.

Alitalia ha ancora bisogno di risorse: l’accordo con un partner industriale per la soluzione alla crisi (in ballo sembravano esserci Delta, EasyJet o Lufthansa) resta lontano, e i bilanci della società continuano a registrare un profondo rosso, con il consuntivo del 2018 che ha registrato perdite nette per oltre 500 milioni: 1.150.000 euro al giorno, 47.916,66 euro ogni ora.

L’ottimismo del ministro al lavoro e sviluppo economico, Luigi Di Maio, e le ripetute promesse (sue e dell’altrovicepresidente del Consiglio dei ministri, Matteo Salvini) di una soluzione in tempi brevi sono svaniti come neve al sole. E allo stesso modo sembrano essere sparite dall’orizzonte le ipotesi di una nuova compagine azionaria in cui far rientrare pezzi di imprese in cui lo Stato è il maggiore azionista, da Ferrovie dello Stato a Poste Italiane, o addirittura lo stesso ministero delle Finanze, in quella che sarebbe stata una vera e propria neo-nazionalizzazione, per quanto surrettizia.

Il governo, per evitare un default in rapido avvicinamento, ha pensato bene di avviare dei contatti – finora senza esito – pure con i concessionari autostradali dei gruppi Atlantia-Benetton e Toto, tutti e due con un contenzioso aperto con lo Stato italiano: al primo l’esecutivo aveva minacciato di revocare la concessione autostradale in seguito al crollo del ponte Morandi di Genova, mentre il secondo ha un debito nei confronti di Anas oltre al contenzioso sulla messa in sicurezza dei viadotti in Abruzzo.

E nel frattempo, per dare ancora ossigeno a una compagnia ormai moribonda, è arrivata la proposta contenuta nel “decreto crescita”, forse la più scandalosa di tutte: utilizzare gli accantonamenti delle bollette di luce e gas degli italiani per trasferire ad Alitalia altri 650 milioni di euro, scaricandone il costo su tutti gli italiani.

In altri paesi, le aziende di trasporto decotte – anche se pubbliche – se sono fuori mercato e hanno quote di passeggeri trasportati risibili sono state messe in liquidazione. Le poche compagnie aeree nel mondo che si sono risollevate da gravi crisi ce l’hanno fatta quasi subito, senza inutili accanimenti condotti con il denaro pubblico: tutte le altre sono svanite, ed è questa la fine che farà Alitalia, trascinandosi dietro tutto il Paese in una saga scandalosa che dura da troppo tempo e in cui a prevalere è solo l’inerzia corporativa.

Forse sarebbe ora di dire basta. E un referendum per Alitalia sarebbe il modo migliore, visto che nessun partito se la sente di staccare la spina a una società decotta, ma che costituisce un vasto bacino di voti, spesso clientelari. Forse potrebbero farlo gli italiani, stufi di svuotarsi le tasche per nulla, prendendosi quella responsabilità che fino a questo momento nessun governante ha mostrato di avere.

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