Il Quartetto di Erik Friedlander al Liviano di Padova

Un interessante concerto per la stagione del Centro d’Arte degli studenti dell’Università di Padova.  Di Giovanni Greto 

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Erik Friedlander

Il Centro d’Arte patavino continua a proporre ottimi concerti all’interno delle stagioni che si susseguono da ben 70 anni: merita una segnalazione il progetto presentato nella sala dei Giganti al Liviano con protagonista il quartettoThrow a Glass” del violoncellista Erik Friedlander (New York, 1 luglio 1960), con Uri Caine al pianoforte, Mark Helias al contrabbasso e Ches Smith alla batteria. In scaletta sei brani dall’ultimo CD, “Artemisia” e due inediti.

Artemisia” è nato da una stimolazione provocata dalla visione , da parte del leader, delle misteriose sculture dei bicchieri di assenzio di Pablo Picasso, esposti al MOMA di New York. È un “concept album”, uscito dopo 18 mesi, necessari per la scrittura e la registrazione, meditando sulla cupa e tenebrosa storia dell’assenzio, e sul suo uso come allucinogeno che abbatte il cervello.

Il concerto si apre però con il primo inedito, “First Sip”. C’è un’introduzione classicheggiante in solitudine del violoncello. Terminato il solo, Ches Smith scandisce un ¾ che ricorda per puntualità e per accenti lo stile di Max Roach. Uri Caine ed Erik Friedlander espongono brevemente il tema all’unisono, consentendo al contrabbasso di entrare per lo sviluppo del brano. È una musica ad ampio respiro, con l’archetto del leader che ora indugia, ora scivola veloce sulle corde dello strumento. Alla sua improvvisazione fa seguito quella di Caine, contraddistinta dalla consueta eleganza. Un fraseggio un po’ bluesy, un’energia percussiva, finché si arriva ad esporre di nuovo il tema, per concludere il brano con uno stop accentato. Il brano successivo, “The great Revelation”, parte a tempo medio con un inizio di nuovo bluesy di Uri Caine. Ad un certo punto si infiamma, passando ad un 4/4 velocissimo, per poi ritornare al rassicurante metronomo iniziale, da cui partiranno le improvvisazioni. Per primo Erik Friedlander, con l’archetto, medita e poi si lancia in figurazioni audaci, mentre il tempo si fa di nuovo velocissimo. Da segnalare l’accompagnamento di Smith sulla coppa del piatto.

Spetta al pianoforte, iniziare in maniera cameristica “Tulips Brush against my Legs”. Smith impugna i mallets (le bacchette con la punta come una mini pallina rotonda e feltrata), percuotendo toms e rullante senza far uso della cordiera. Gli archetti sono adottati sia per il violoncello che per il contrabbasso, il quale, dopo un lungo episodio free, si fa da parte, consentendo a Smith un assolo creativo, utilizzando piccole percussioni metalliche, strisciando longitudinalmente i piatti, sfregando fra loro le bacchette, prima di abbandonarle per le spazzole.

“Seven Heartbreaks” è un elegante 4/4 mainstream, che rievoca atmosfere e strutture ellingtoniane. C’è un bel solo di contrabbasso, dal timbro tendente al nasale, con figurazioni assai narrative. Uri lo asseconda suonando semplicemente gli accordi, per poi partire con un gradevole assolo blueseggiante, finché Erik Friedlander diteggia il tema in una maniera molto accattivante. Il tema di “As they are” è esposto all’unisono da Uri Caine ed Erik Friedlander, mentre il contrabbasso mantiene fermamente una struttura immutabile, che, trascorso un certo tempo, lancerà le improvvisazioni. L’esordio spetta ad Uri, dapprima insieme agli altri e poi da solo, dopo uno stop improvviso. La seconda è di Erik, che dà vita ad un intervento in solitudine, piacevolmente barocco. La base scandita a più riprese dal contrabbasso, lancia il solo della batteria, il rullante di nuovo privo di cordiera. Mentre Smith continua il suo lavoro, gli altri riespongono il tema, finchè le percussioni cessano, onde consentire un finale sussurrato.

E si arriva alla title track, “Artemisia”, introdotta da un lentissimo fraseggio di Friedlander, mentre Uri segue con attenzione la partitura sopra il pianoforte. Ches esegue alcune figurazioni con i mallets, prima di passare alle spazzole. E’ un brano d’atmosfera, a tratti misterioso. Il tema è esposto dal violoncello con eleganza e dolcezza. Alle sue spalle, il contrabbasso riempie gli spazi vuoti.

Il secondo inedito, “The fire in you”, comincia con il contrabbasso suonato con l’arco. In circa undici minuti assume un andamento orientaleggiante, con un ostinato di pianoforte. Assai percussivo è “Sparkotropic”. Il contrabbasso mantiene senza sosta una frase. Il pianoforte è rapido ed elegantemente ritmico e si fa notare con dei clusters alternati ad un disegno di note basse. Il solo di batteria, dopo una forsennata improvvisazione di Friedlander, si indirizza verso i tempi dispari.

Il concerto si concluderebbe qui. Ma il pubblico non ne vuol sapere di abbandonare le sedie. E allora Erik Friedlanderesegue la swingante “Cello again”, affettuoso omaggio ad Oscar Pettiford (Okmulgee, Oklahoma, 30 settembre 1922 – Copenhagen, 8 settembre 1960), che fa parte di un precedente, bellissimo album, “Oscalypso”(2015). Last, but not least, un’emozionante esecuzione al violoncello solo di “Serene”, forse per rendere omaggio ad Eric Dolphy, un altro grande musicista, scomparso prematuramente.

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