Ad aprile l’indice della produzione industriale gira in negativo con un calo dello 0,7%, confermando le previsionicirca la debolezza del secondo trimestre. La produzione è diminuita di 4 mesi consecutivi tra settembre e dicembre 2018, poi è rimbalzata bruscamente a gennaio e febbraio sotto la spinta della ricostituzione delle scorte, prima di ridiscendere nuovamente a marzo e aprile: quindi, fino ad oggi, secondo Luca Mezzomo, responsabile Analisi macroeconomica del Centro Studi di Intesa Sanpaolo, «ci sono poche prove che sia stata avviata una ripresa».
Lo spaccato dei dati non è incoraggiante: secondo Mezzomo «a livello di utilizzo finale, solo l’energia è cresciuta (+3,6% m/m), mentre forti flessioni hanno riguardato sia i beni intermedi (-2,6%), sia i beni di investimento (-3,8%). Anche la produzione di beni di consumo è diminuita (-0,6%), più o meno in linea con la media per l’industria. Per settore, l’Istat osserva che le flessioni tendenziali sono molto diffuse, con solo l’industria alimentare e l’energia che mostrano una crescita positiva su base annua».
Anche il livello di fiducia delle imprese «non è ancora coerente con una ripresa sostenibile – sottolinea Mezzomo – e nuove informazioni suggeriscono che la domanda estera rimarrà debole nei prossimi mesi, non da ultimo a causa delle tariffe più elevate imposte dagli Stati Uniti alla Cina, che può frenare nuovamente la fiducia delle imprese. Inoltre, la ripresa della domanda interna connessa all’impatto del bilancio 2019 sul reddito disponibile può essere compensata dall’aumento dell’incertezza sulle condizioni finanziarie e sull’orientamento di bilancio nel 2020, a causa di un notevole divario tra le norme dell’UE e le promesse di allentamento fiscale attualmente fatte dai partiti di governo».
Se il settore industriale nel suo complesso soffre, quello che va decisamente male è quello dell’automotive, con la produzione industriale di automobili in calo del 22% rispetto ad aprile 2018,mentre nel primo quadrimestre dell’anno in corso, la produzione di autovetture registra una flessione del 19%. A maggio 2019, il mercato italiano dell’auto ha riportato una diminuzione delle vendite dell’1%. I primi cinque mesi del 2019 chiudono con segno negativo: -4%. Negli altri comparti, presentano un segno positivo nel periodo gennaio-maggio 2019 soltanto i veicoli commerciali leggeri (+6%, con una crescita del 5% a maggio) e i rimorchi leggeri (+2%, e un incremento del 4,5% nel mese), mentre risultano in flessione gli autocarri (-8%, nonostante il +5% di maggio), gli autobus (-8%, con un calo del 15% a maggio) e i rimorchi e semirimorchi pesanti (-7%, mentre nel mese la flessione è del 16%).
«La produzione industriale dell’automotive italiano nel suo insieme, registra a marzo un calo tendenziale del 10,9%, che fa seguito alle flessioni già riportate nel primo trimestre del 2019 e nell’ultimo trimestre del 2018 – dichiara Gianmarco Giorda, direttore di ANFIA -. Anche il secondo trimestre dell’anno, quindi, si apre con il segno meno, portando a una chiusura del quadrimestre in ribasso del 9,9%. La produzione italiana di parti e accessori per autoveicoli e loro motori riporta nuovamente, come già a febbraio e marzo, un segno negativo nel mese di aprile (-8,7%) e anche nel cumulato (-7,5%)».
Sul settore dei veicoli pesa grandemente sia l’incertezza politica che l’eccessivo peso fiscale, oltre alla selva di provvedimenti, spesso tra loro contrastanti, emanati dai vari livelli di governo del territorio, che emanano limiti di circolazione a capocchia. Per rilanciare il settore portante dell’economia italiana (e dell’occupazione e dell’innovazione) servirebbe un drastico taglio della pressione fiscale gravante sul settore, l’abrogazione immediata del meccanismo di bonus/malus che ha penalizzato il settore (e la propensione all’acquisto degli utenti), l’equiparazione del trattamento fiscale dei veicoli aziendali all’Europa con la completa deducibilità dell’Iva e del costo d’acquisto. Servirebbe, infine, un quadro normativo di riferimento coerente ed omogeneo al miglioramento della qualità dell’aria, finendo di penalizzare i Diesel Euro5 ed Euro6, favorendo quest’ultimi che, a livello globale, hanno un impatto ambientale minore rispetto ad un veicolo elettrico.
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