Secondo la stima riportata nella “Relazione annuale 2018”, presentata dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, l’ammontare complessivo dei debiti della pubblica amministrazione (PA) italiana sarebbe pari a 53 miliardi di euro, in calo, rispetto al 2017, di 4 miliardi.
L’utilizzo del condizionale è d’obbligo, visto che la periodica indagine condotta dai ricercatori di via Nazionale si basa su indagini statistiche, condotte sulle imprese, e dalle segnalazioni di vigilanza da cui emergono dei risultati che, secondo gli stessi estensori delle stime, sono caratterizzati da un elevato grado di incertezza.
Al di là della precisazione appena riportata più sopra, che evidenzia quanto sia intollerabile che il ministerodell’Economia e delle Finanze (MEF) non riesca ancora adesso a quantificare con esattezza l’ammontare complessivo del debito commerciale contratto dalla PA italiana con i propri fornitori, il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, sottolinea come «pur riconoscendo l’impegno profuso negli ultimi anni, in Europa, nessun altro Paese può contare su un debito commerciale così smisurato. Secondo i dati Eurostat, la Grecia, ad esempio, ha un’incidenza dei mancati pagamenti di parte corrente sul Pil dell’1,4%, mentre in Italia è al 2,9%, praticamente il doppio. Una situazione inaccettabile per un Paese civile che continua a produrre effetti molto negativi sui bilanci di migliaia e migliaia di imprese fornitrici della PA».
I casi limite di debiti della pubblica amministrazione sono moltissimi, soprattutto nel Mezzogiorno. Il comune di Napoli, ad esempio, paga mediamente i propri fornitori con 320 giorni di ritardo (Indicatore di Tempestività dei Pagamenti riferito al 2018), l’ASL Napoli 1 con 167 (dato riferito al primo trimestre 2019) e l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria con 163 (dato medio 2018).
Nel biennio 2013-2014, ricorda la Cgia, i governi Monti, Letta e Renzi stanziarono circa 50 miliardi di euro per onorare il pagamento dei debiti commerciali che, alla fine del 2012, risultavano essere «certi, liquidi ed esigibili». Nonostante questo sforzo economico così importante, l’ammontare dei mancati pagamenti ha comunque subito una contrazione molto contenuta.
Dal giugno del 2014, i fornitori dei ministeri, delle agenzie fiscali e degli enti di previdenza e assistenza sociale hanno l’obbligo di emettere la fattura in formato elettronico, modalità che è stata estesa alle restanti PA a partire dal 31 marzo 2015 e nonostante ciò i tempi di pagamento della PA continuano ad essere molto elevati.
Nel dicembre del 2017, tale situazione ha indotto la Commissione europea a deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’UE. Bruxelles, pur riconoscendo l’impegno profuso negli ultimi anni, ha rilevato che le «amministrazioni pubbliche italiane necessitavano ancora in media 100 giorni per saldare le loro fatture, con picchi che risultavano essere nettamente superiori».
Ancorché la PA tricolore sia tra i peggiori pagatori d’Europa, molti si erano convinti che i tempi di pagamento si sarebbero drasticamente ridotti grazie all’introduzione, partita gradualmente dal luglio del 2017, dell’obbligo da parte di tutti gli enti pubblici di trasmettere le informazioni relative ai singoli pagamenti attraverso il sistema Siope+. Questa modalità doveva consentire a regime la quantificazione dell’ammontare delle passività commerciali e il monitoraggio continuo dei tempi di pagamento delle amministrazioni debitrici. Nel corso del 2018 questo sistema è stato esteso a tutte le PA. Nonostante ciò, sono ancora moltissimi gli enti che non rispettano questa disposizione e non consentono al ministero dell’Economia e delle Finanze di misurare con precisione l’ammontare complessivo del debito e i relativi tempi medi di pagamento.
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