Autonomia: il ministro Stefani ha convocato a Roma le regioni

“Nodi” nel Governo  per la maggiore autonomia di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna che sono pronte a partire. Emiliano, l’Esecutivo rischia grosso. Salvini rimanda nel tempo l’avvio del percorso autonomistico.

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Il ministro per gli Affari regionali, la vicentina Erika Stefani (Lega), ha convocato tutte le Regioni al ministero per riprendere con loro, che sono le principali protagoniste, il discorso sull’autonomia differenziata: nove Regioni hanno infatti già chiesto di poter gestire una serie di materie, così come prevede l’articolo 116 terzo comma della Costituzione.

Veneto, Emilia Romagna e Lombardia sono pronte a partire, il Piemonte e la Liguria sono a buon punto, le altre (Toscana, Campania, Umbria e Marche) hanno fatto richiesta, ma non declinato le competenze che chiedono. Altre ancora si accingono a farlo, come il Lazio che chiede di poter gestire autonomamente 5 materie: dalla finanza pubblica in relazione agli enti locali, alla formazione, al cinema e l’audiovisivo. Poca cosa rispetto al numero delle competenze che chiedono in via esclusiva Veneto e Lombardia, che ne vogliono ben 23, tutte quelle disponibili stando alla Costituzione, mentre 15 ne chiede l’Emilia Romagna.

A parte il numero delle materie da gestire, tutti o quasi, su questo tema, sembrano essere in conflitto tra loro: i governatori e parte del governo da una parte, i governatori tra loro dall’altra, e persino il governo nel suo interno, tra gli “acceleratori” (Lega in primis) e i “frenatori” (gran parte del M5s). Poco chiaro sembra innanzitutto il percorso da portare avanti.

Il ministro Stefani, al termine dell’incontro, ha chiarito di «attendere dal Parlamento, in particolare dai presidenti di Camera e Senato, di capire quale sia l’iter da affrontare per il dibattito parlamentare, al quale sono totalmente aperta. Il dibattito parlamentare per me è fondamentale sia prima della firma dell’intesa che nella fase successiva» e ha aggiunto che «ad oggi non sono stati sciolti i nodi politici su alcune richieste delle Regioni relativamente ad alcune materie. Sono nodi politici che devono essere analizzati e sviscerati, ad oggi non ho una rappresentazione univoca».

Dal canto loro, mentre i governatori di Veneto e Lombardia chiedono al Governo di incardinare al più presto il provvedimento in Parlamento perché «il treno dell’autonomia – ha detto il presidente del Veneto, Zaia – è partito e non si fermerà», il presidente della Puglia, Michele Emiliano, ha fatto notare che «su questa vicenda, su cui non sa che pesci prendere, il governo rischia di cadere» e si è augurato «uno stop a tutto questo processo. Spero che le Regioni possano presentare un progetto condiviso che consenta a questa vicenda di non paralizzare il Paese: è importantissima per alcuni, ma non mi sembra la priorità per l’Italia, è un tema di divisione più che di rilancio».

Zaia ha partecipato anche all’audizione della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale dove ha ribadito, in tema di maggiore autonomia, come «anche sulla scuola abbiamo necessità di essere partecipi a questa sfida. Il ministro Bussetti sta facendo un grande lavoro, è appena arrivato e giustamente trova tutto l’arretrato da portare avanti. Però è pur vero che le Regioni hanno la possibilità di dare una mano. Non capiamo per quale motivo siamo titolati ad occuparci della sanità di 5 milioni di Veneti, e lo facciamo in maniera assolutamente virtuosa tanto da essere la regione di riferimento nazionale, e poi ci viene detto che per una pratica ambientale dobbiamo rivolgerci a Roma e non possiamo farla noi». Durante l’audizione, Zaia ha ribadito che il Veneto intende «nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, partecipare alle funzioni di governo del sistema educativo/formativo», soprattutto sul versante delle assunzioni.

Il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, ha chiesto un dibattito parlamentare «vero» prima del quale però bisogna «capire bene dove andiamo a “parare”: serve una valutazione prima e non dopo da parte degli uffici di bilancio dello Stato e di Camera e Senato. Poi dobbiamo definire il fabbisogno standard e i livelli essenziali delle prestazioni. Inoltre dobbiamo fare attenzione su alcuni temi come la scuola, che deve rimanere assolutamente pubblica. Infine, dobbiamo capirci sui residui fiscali: il rischio è di destinare il Sud al degrado». Osservazioni che la tirano troppo per le lunghe per il governatore della Lombardia Attilio Fontana: «qualcuno sta facendo discorsi di aria fritta perché non vuole arrivare alla fine del processo».

Intanto, il titolare del Viminale e leader della Lega, Matteo Salvini, ha detto di augurarsi che «almeno un primo mattone» dell’autonomia differenziata arrivi prima delle Europee, «perché fa bene a tutta Italia». Un auspicio con tutta probabilità destinato a rimanere tale, visto che lo stesso Salvini ha progressivamente ammainato la bandiera autonomistica spostandolagradualmente dal 15 dicembre dell’anno scorso ad una data imprecisata nel tempo. Un comportamento che alla Lega, soprattutto nella sua culla storica del Nord Italia e in Veneto e Lombardia in particolare, nelle urne europee potrebbe costare molto caro, considerando i crescenti mal di pancia dei ceti produttivi che dal decretodignità” in poi si sono visti progressivamente approvati provvedimenti contrari alla crescita e allo sviluppo, tanto da riportare l’Italia, unico tra i paesi europei, nuovamente in recessione senza prima avere riconquistato i livelli pre 2008. Un risultato che, se Salvini non si decide a cessare la negativa esperienza gialloverde, rischia di consacrarlo alla Storia come l’ennesimo politicante di basso profilopiuttosto che uno statista capace di innovare e di riformare il Paese.

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