Sono state recentemente caricate nel sito web www.Centrostudialetheia.it a cura dell’Associazione Bellunesi nel Mondo una serie di fotografie che ritraggono le balie bellunesi assunte da famiglie (solitamente facoltose) con il compito di accudire i bambini di queste.
Il fenomeno baliatico comprende due realtà simili, ma differenti: vi era la balia “da latte” la quale, appena diventata mamma, partiva per allattare il bambino della famiglia presso la quale avrebbe svolto il suo lavoro. Il contratto poteva durare un anno o un anno e mezzo a seconda delle esigenze del bambino. Come requisiti, la balia da latte, oltre ad aver appena partorito, doveva essere di corporatura robusta e sana per non trasmettere malattie al bimbo.
La seconda realtà è la balia “asciutta” il cui compito era di accudire i bambini, ma non di allattarli. Le cause che spingevano queste donne ad intraprendere l’attività di balia potevano essere molte, in primis la necessità di sostenere economicamente la propria famiglia. Qualunque fossero le motivazioni, il trauma e il dolore di dover abbandonare il proprio figlio per crescere un’altra creatura erano notevoli.
Durante questa curiosa ed interessante ricerca, si conosceranno varie donne tra le quali Teresa Zampieri, di Limana e Palmira Centeleghe, di San Gregorio nelle Alpi, entrambe trasferitesi a Milano negli anni ’30 del secolo scorso. Si incontreranno altri esempi come Vittoria De Min (di Sossai) e Lucia Camo (Capraro) entrambe assunte a Torino rispettivamente negli anni ’30 e negli anni ’20. Anche Elvira Capraro esercitava la sua professione a Torino negli anni’ 30 e negli stessi anni Genoveffa Bortoluzzi lavorava a Milano, mentre Maria Cibien a Padova. Maria Corso (originaria di Seren del Grappa) era balia anch’essa a Milano, ma negli anni ’10, mentre Angela D’Incà aveva trovato occupazione a Verona la decade successiva.
Molte fotografie caricate sul sito ritraggono le balie assieme ai bimbi che accudivano, ma si troveranno anche immagini di ritrovidelle balie bellunesi e dediche da parte delle famiglie e dei bambini presso le quali la balia aveva svolto il suo mestiere. Queste ultime sono testimonianze che dimostrano il legame affettivo che si poteva creare ed instaurare da entrambe le parti.
Da non tralasciare come spunto di riflessione l’epoca del fenomeno baliatico e le umili origini delle balie che provenivano da paesi molto piccoli per prestare servizio in realtà più moderne e grandi di Belluno. Impossibili da non notare sono gli sguardi di queste donne: se in alcune foto sono più sorridenti forse per mantenere un certo decoro e una certa posa durante lo scatto, in alcune sembrano quasi assenti probabilmente distratte dal pensiero e dal ricordo del loro bambino naturale che avevano dovuto lasciare.
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