Si è da poco conclusa la mostra “Idoli. Il potere dell’immagine”, promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue e allestita a Palazzo Loredan – Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti.
Curata dalla conservatrice onoraria del Louvre, Annie Caubet – curatrice, oltre che della mostra, anche del catalogo edito da Skira – l’esposizione, che raccoglie un centinaio di opere provenienti dai quattro angoli del globo, rappresentative delle prime esperienzedi raffigurazione umana tridimensionale, è stata premiata da una straordinaria affluenza di pubblico, arrivando a superare le 18.000 presenze nei primi tre mesi.
Inti Ligabue, presidente della Fondazione, ha ideato e concepito la mostra a partire dagli studi condotti dal padre Giancarlo sul tema e da alcuni straordinari reperti della stessa Collezione Ligabue. A corollario finale, è stato invitato nel vicino Palazzo Franchetti, il professor Stefano De Martino per una conferenza di approfondimento, “Il potere delle immagini: raffigurazioni di divinità nell’Anatolia antica”.
Professore ordinario di Anatolistica (si è autodefinito “itittologo”) presso il Dipartimento di studi storici dell’Università di Torino e autore di uno dei saggi in catalogo, De Martino ha guidato il pubblico, accorso numerosissimo, alla scoperta degli Idoli provenienti da quella che Greci, Romani e Bizantini chiamavano Asia Minore, quell’estremità peninsulare della Turchia che fa da cerniera tra Occidente e Oriente.
Il racconto è iniziato dall’analisi delle cosiddette statuette Killia, caratterizzate da un corpo reso schematicamente, alle figure di donne spesso nude e dai tratti naturalistici, in argilla o metallo, riportate alla luce ad Alacahöyük in sepolture databili al Bronzo antico, sprigionanti una vitalità tanto peculiare da distinguerle nettamente da quelle egee e mesopotamiche, che, per quanto contemporanee, presentano caratteri di maggiore astrazione; ancora, dagli Idoli in alabastro rinvenuti a Kültepe – figure con corpo di forma circolare e dalla sessualità ambigua, idoli gravidi, androgini e itifallici al tempo stesso – alle statuette che presentano chiari segni di rottura intenzionale, forse legata all’esecuzione di rituali magici o riti di passaggio quali l’adolescenza o il matrimonio, a simboleggiare la rottura con la famiglia di origine e l’ingresso in una nuova fase della vita.
Loquace e paziente nella dissertazione, De Martino ha fermato l’attenzione del singolo spettatore, in una relazione di quasi un’ora, ricca anche di racconti di miti antichissimi, che hanno lasciato a bocca aperta la platea che gli ha attribuito un lungo, intenso applauso di congedo.
Idoli, dal greco “eidolon”, “immagine”, è stata una mostra che ha fatto scoprire le statuette antropomorfe tra il 4000 e il 2000 a.C, affascinando i visitatori per la bellezza delle opere in esposizione . Complice la cura posta nell’allestimento, il percorso didattico è diventato un vero e proprio viaggio, attraverso la storia dell’arte figurativa, spunto ideale per rintracciare trame nascoste e scoprire le storie e i miti che hanno ispirato la loro creazione.
I 100 reperti esposti provenivano da una vasta area geografica che si estende da Occidente ad Oriente, dalla penisola iberica alla valle dell’Indo (Pakistan), dalle porte dell’atlantico fino ai remoti confini dell’Estremo Oriente, in un’epoca di grande transizione, in cui i villaggi del Neolitico si evolvono a poco a poco nelle società urbane dell’Età del Bronzo.
Molti reperti, eccezionali per il significato storico-scientifico e la rarità, provenivano dalle più importanti collezioni private e pubbliche e si sono potuti ammirare assieme per la prima volta. Gli oggetti erano realizzati in argilla, avorio, osso, legno, pietra e successivamente metallo. Si è scelto di privilegiare per la mostra i materiali realizzati in pietra – come il marmo, la pietra nera, il basalto, l’alabastro gessoso, l’ossidiana, il cristallo di rocca, il lapislazzuli – poiché più impegnativi da lavorare.
Tra i manufatti più curiosi, gli idoli oculari dell’Asia occidentale (3300-3000 a.C), lo “Sfregiato”, uomo-drago con il corpo ricoperto da squame di serpente proveniente dall’Iran orientale (2200-1800 a.C), un uomo imprigionato da serpenti, le figure femminili della Sardegna, che fanno pensare all’arte del Novecento, il Suonatore d’arpa, proveniente dall’isola greca Santorini (2400-2300 a.C.) e la cosiddetta “Venere Ligabue”, dall’Iran orientale( 2200-1800 a.C), acquistata da Giancarlo che fu tra i primi esploratori a studiare questa civiltà. Da segnalare la nutrita presenza di animali, di figure femminili con attributi sessuali accentuati e la figura steatopigia, cosiddetta “Grande Madre”, probabilmente il tipo più antico.
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