Reddito di cittadinanza: metà della spesa (3 miliardi) a favore di chi lavora in nero?

La domanda se lo pone la Cgia di Mestre che valuta in circa la metà degli aventi diritto come soggetti irregolari di fronte al Fisco. 

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Reddito di cittadinanza

Sulla base delle indiscrezioni apparse nei giorni scorsi, i soggetti che beneficeranno del cosiddetto reddito di cittadinanza potrebbero essere poco più di 4 milioni, pari a 1.375.000 nuclei familiari coinvolti.

Un dato ancora ufficioso che, tuttavia, ha fatto scattare un campanello d’allarme alla Cgia di Mestre. Infatti, è possibile ipotizzare che circa la metà della platea dei teorici destinatari di tale misura potrebbe essere composta da persone che lavorano in manierairregolare. E visto che per l’anno in corso ai beneficiari del reddito di cittadinanza il Governo erogherà 6 miliardi di euro, verosimilmente la metà della spesa, pari a circa 3 miliardi di euro, potrebbe finire nelle tasche di persone che non ne hanno diritto.

Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi dell’Associazione artigiani mestrina, Paolo Zabeo, «a causa dell’assenza di dati omogenei relativi al numero di lavoratori in nero presenti in Italia che si trovano anche in stato di deprivazione, non possiamo dimostrare con assoluto rigore statistico questa tesi. Tuttavia, vi sono degli elementi che ci fanno temere che buona parte dei percettori del reddito di cittadinanza potrebbe ottenere questo sussidio nonostante svolga un’attività lavorativa in nero, sottraendo illegalmente alle casse dello Stato un’ingente quantità di imposte, tasse e contributi previdenziali. In altre parole, l’amministrazione pubblica, al netto delle misure di contrasto previste, sosterrà con il reddito di cittadinanza un pezzo importante dell’economia non osservata».

Come si è giunti a queste conclusioni? Secondo l’Istat, in Italia ci sono poco meno di 3,3 milioni di occupati che svolgono un’attività irregolare. Se da questo numero rimuoviamo i dipendenti e i pensionati che non hanno i requisiti per accedere a questa misura – pari, in linea di massima, a 1,3 milioni di unità – coloro che pur svolgendo un’attività irregolare potrebbero, in linea teorica, percepire questa misura sarebbero 2 milioni; vale a dire la metà dei potenziali aventi diritto (poco più di 4 milioni).

La presenza del lavoro nero, ovviamente, provoca effetti economici e sociali molto negativi, senza contare gli ingenti danni causati alle attività commerciali e produttive che rispettano le regole. La diffusione dell’economia sommersa nel nostro Paese presenta delle differenze regionali molto marcate che potrebbero provocare delle forti distorsioni a livello territoriale nell’erogazione del sussidio.

Ricordiamo che la regione più a “rischio” è la Calabria che, secondo gli ultimi dati disponibili (anno 2016), presenta 140.700 lavoratori in nero, ma un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil regionale pari al 9,4%. Un risultato che è quasi doppio rispetto al dato medio nazionale (5,1%). Segue la Campania che, con 372.600 unità di lavoro irregolari, “produce” un Pil in “nero” che pesa su quello ufficiale per l’8,6%. Al terzo posto di questa particolare graduatoria c’è la “specialissima” Sicilia, nello specifico con 303.700 irregolari e un peso dell’economia sommersa su quella complessiva pari all’ 8,1%.

Le realtà meno interessate dalla presenza dell’economia sommersa sono quelle del Nord: in Friuli Venezia Giulia i lavoratori irregolari sono 56.400: questi ultimi generano un valore aggiunto sommerso che è pari al 4,1% del Pil regionale. In Lombardia, invece, gli occupati irregolari sono 485.600 e “producono” un valore aggiunto in nero del 3,9% di quello rilevato ufficialmente. La regione più virtuosa, infine, è il Veneto: i 197.600 lavoratori in nero presenti “causano” quasi 5,4 miliardi di euro di valore aggiunto sommerso, pari al 3,8% del Pil regionale.

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