La manovra di bilancio 2019 rischia di diventare rapidamente figlia di nessuno, visto che lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nonostante la sua firma di promulgazione, si è affrettato a prenderne le distanze, formulando numerose critiche durante il suo tradizionale saluto di fine anno televisivo a reti unificate.
Tanti i provvedimenti che mancano nella manovra di bilancio 2019 e che avrebbero dovuto esserci, sostituiti da decisioni abborracciate scritte all’ultimo momento con deputati e senatori impossibilitati materialmente a conoscerle e a discutere, violando così uno dei punti qualificanti della Costituzione e della legislazione parlamentare. Nonostante che dai vertici del governo gialloverde ci si sbracci per piantare le rispettive bandiere di presunti successi, alla prova dei fatti sono più ombre che luci. Di fatto, la bandiera grillina del reddito di cittadinanza finirà per essere il vecchio assegno di disoccupazione previa una mano di colore per passare dal rosso al giallo, mentre sul fronte delle pensioni a quota 100 così tanto care a Salvini si rischia un’uscita colossale dalle fila della pubblica amministrazione lasciando sguarniti servizi pubblicifondamentali e senza l’atteso arrivo di forze nuove.
Ma se la fretta di San Silvestro è stata spesso cattiva consigliera, mancano del tutto provvedimenti che avrebbero potuto qualificarlae indicarla veramente come un cambiamento rispetto al passato, ponendo le basi per un rilancio dell’economia. Manca quasi del tutto la “flat tax” accompagnata da un consistente taglio della pressione fiscale su cittadini ed imprese con annesso taglio dell’asfissianteburocrazia che nell’America di Trump ha fatto fare un balzo in avanti agli steroidi alla locale economia. Mancano anche lo strombazzato taglio alle accise su carburanti più cari del mondo, preferendo il taglio su quelle della birra e sul tartufo che avranno un effetto decisamente limitato sull’economia nazionale. Semmai, alla fine dei conti più che calare le tasse cresceranno, sia a livello nazionale con 12 miliardi di nuovi balzelli sulle imprese e circa 1,5 miliardi di euro sul fronte delle tasse locali.
Né quella che si è ambito a definire la “manovra del popolo” si è dimenticata dei provvedimenti clientelari per quelle élite così tanto invise (a parole) dal mondo grillino che ha dimostrato di predicare in un modo e di razzolare come tutti gli altri.
Nonostante si sforzino di fare apparire il contrario, Salvini e Di Maio con la manovra 2019 hanno perso gran parte della loro credibilità e i sondaggi puntuali sulle intenzioni di voto stanno lì a dimostrarlo. E la conferma arriverà di qui a poche settimane, con la necessità di approntare ben 161 decreti applicativi per rendere effettivi i contenuti della manovra, cui succederà ad aprile l’appuntamento con l’aggiornamento del Documento di economia e finanza che dovrà confrontarsi necessariamente con un’economia con evidenti segnali di rallentamento internazionale che non potranno non riflettersi anche sul Pil nazionale, le cui stime sono state frettolosamente tagliate e che dovranno essere ulteriormente limate causa carenza di carburante destinato tutto all’assistenzialismo che al motore della crescita, per di più con all’orizzonte la mannaia del rincaro pensate dell’Iva dal 22% al 25,2% nel 2020.
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