Cambiamenti climatici, biodiversità e biotecnologie, agricoltura digitale, ambiente e qualità: sono queste le coordinate su cui si sviluppa il Piano triennale di attività del Crea, l’Ente di ricerca agricola che fa da capo al ministero dell’Agricoltura, e che propone la sua visione per una nuova agricoltura.
«E’ uno scenario alla portata del sistema Italia, perché godiamo di alcuni punti di forza ma dobbiamo stare attenti a canalizzare le risorse in tecnologie che guideranno le scelte del futuro», ha dichiarato il presidente, Salvatore Parlato, durante la presentazione che ha messo a confronto opinioni ed esperienze dei principali interlocutori. «Un sistema decisionale basato sulla conoscenza, e una ricerca di qualità coerente con le sfide globali ma calibrata sui fabbisogni nazionali e finalizzata a consolidare sempre più il “Made in Italy” agroalimentare: ecco la strategia vincente di un’agricoltura italiana che sa rinnovarsi, mantenendo la propria identità e incrementando la sua competitività», ha spiegato Parlato, illustrando il Piano che include anche il coinvolgimento dei consumatori: «l’attività dovrà essere rivolta anche ai cittadini perché vogliamo avere un sistema di ricerca partecipata, con eventi di tipo divulgativo, campagne di educazione alimentare e sistemi che rassicurino i cittadini nella scelta di prodotti di qualità».
Oltre ai progetti, saranno realizzate infrastrutture della ricerca in grado di elaborare soluzioni efficaci e tempestive sui temi più sensibili. Per fronteggiare le invasioni biologiche di organismi e microrganismi alieni dannosi all’agricoltura, il Crea ha avviato la realizzazione di due laboratori da quarantena: uno a Firenze per il controllo di Insetti-Acari-Nematodi, e uno a Roma per il controllo di Virus-Batteri-Funghi. Inoltre, saranno avviate piattaforme integrate in grado di identificare e contrastare le frodi alimentari, assicurare la certificazione delle sementi, facilitare il miglioramento genetico, fornire modelli di analisi, previsione e valutazione d’impatto quantitativi e qualitativi. Senza dimenticare l’innovazione, con la creazione di due Tecnopoli dedicati: uno a Lodi (su zootecnia, sementi, foraggi e bioenergie) e uno a Monterotondo (su economia circolare, agricoltura e zootecnia digitale, recupero e gestione delle biodiversità). A Rieti nascerà invece il Centro nazionale di agricoltura digitale.
Molto positive le testimonianze di alcuni soggetti che stanno facendo ricerca e impresa con il Crea: Piero Manzoni, amministratore delegato di Gruppo Neorurale, ha sta seguendo a Monterotondo il progetto sull’economia circolare e il risparmio energetico; Giacomo Suglia, presidente di Nu.VaU.T., impegnato nella ricerca sulla produzione di nuove varietà di uve da tavola con e senza semi («al momento sono dodici certificate, ma entro giugno ne arriveranno altre ventiquattro»); Silvia Candiani, amministratore delegato di Microsoft Italia, che con il Crea ha sviluppato un sistema tecnologico di tracciabilità e certificazione di qualità sulle arance tarocco siciliane.
Anche le associazioni di categoria apprezzano il ruolo del Crea. «E’ un valore aggiunto per il Paese e sarebbe delinquenziale metterlo in discussione», mette in chiaro Luigi Scordamaglia (Filiera Italia), mentre Ettore Prandini (Coldiretti) evidenzia i benefici legati alla ricerca pubblica, unica in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini sui principi di sostenibilità e valorizzazione della biodiversità: «il Crea è il migliore strumento su cui investire». Massima disponibilità alla collaborazione anche da Paolo Marchesini (Assosementi) per arrivare ad «una tracciabilità totale su innovazione e selezione», e da Massimiliano Giansanti (Confagricoltura).
Per il ministro all’agricoltura, Gian Marco Centinaio «si deve andare avanti con la ricerca, in un sistema integrato che chiamerà in causa anche il mondo accademico. L’idea è di aprire nel 2019 un tavolo di collaborazione anche con quelle università che non hanno la facoltà di Agraria, perché l’agricoltura non è solo questo. Il ruolo del Crea deve essere di servizio a un settore che sempre più deve essere al passo con i tempi, a contatto con la ricerca», ha spiegato Centinaio, intenzionato a valorizzare fino in fondo l’Ente vigilato dal suo ministero, ora che ne ha compreso la funzione strategica. «Fino a qualche settimana fa, ammetto che anche il ministro, preso dall’inizio della legislatura e dalle varie emergenze, conosceva poco questo grande lavoro – ha sottolineato Centinaio -. Ma quando mi sono messo a ragionare sulle attività del Crea mi si è aperto veramente un mondo, e quindi l’obiettivo è di far capire a tutto il settore dell’agricoltura il grande lavoro che si sta facendo».
I riscontri non mancano già adesso. «Vengo dalla prima riunione del tavolo del grano e della pasta al ministero e la cosa positiva è che durante questo tavolo, dove c’era tutta la filiera (c’erano i produttori delle sementi, gli agricoltori, i rappresentati dell’industria della pasta e la grande distribuzione, per la prima volta) la parola Crea è stata nominata da ben quattro interlocutori che lo considerano essenziale per portare avanti la qualità del grano nel nostro Paese. E quando non solo gli agricoltori ne parlano ma anche le industrie, vuol dire che in questo momento il Crea deve sempre più prendere un ruolo fondamentale per la ricerca e l’innovazione». Due parole che Centinaio definisce «spesso abusate», soprattutto nei grandi consessi: «quando si vuole fare un po’ i fenomeni basta inserire le parole ricerca e innovazione abbinate a qualsiasi cosa… Ma io penso che se andiamo a guardare l’agricoltura nel nostro Paese e a livello internazionale, sempre di più innovazione e ricerca devono essere all’ordine del giorno».
L’altra direttrice su cui intende muoversi il ministero è «un rapporto sempre più stretto tra le università italiane, il Crea e il Mibact». Di qui, il progetto di aprire un tavolo di collaborazione con il mondo accademico nel suo insieme. Un punto cruciale, questo, secondo Centinaio che rivela di aver inaugurato a novembre scorso l’anno accademico dell’università di Pavia (dove non ci sono facoltà legate all’agricoltura e al turismo) tra lo scetticismo di alcuni professori: «io ho spiegato sommessamente che oggi come oggi l’agricoltura italiana non è solo il contadino con il cappello di paglia e la camicia a quadri, ma è fatta sempre più da giovani laureati in altre materie come ingegneria, chimica, fisica e anche medicina». Già, perché «se noi siamo quello che mangiamo – sottolinea il ministro – la medicina sempre di più deve avere a che fare con l’agricoltura per capire quello che viene coltivato, pescato e allevato nel nostro Paese e al fuori». Anche la geologia trova spazio tra le facoltà vicine al mondo agricolo, insieme con economia e commercio, dal momento che «oggi gli agricoltori sono sempre più imprenditori, anche nelle piccole aziende».
A ribadire la funzione strategica del Crea è anche Alessandra Pesce, sottosegretario all’Agricoltura, che definisce l’Ente «il nostro punto di eccellenza nelle attività di ricerca» e raccomanda, in linea con il ministro, di incrementare la sinergia fra tutti gli attori del settore: «non dobbiamo considerare l’agroalimentare una scatola stagna ma favorire le contaminazioni, perché la tecnologia ci consente di mutuare le esperienze da altri comparti».
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