Il 2018 sarà ricordato per la guerra dei dazi

Un conflitto commerciale I cui esiti non sono affatto scontati, ma rischiano di essere un boomerang globale. 

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Il 2018 sta per volgere al termine e, per quanto visto finora, sarà ricordato come un anno connotato da forti inversioni di rotta nelle politiche internazionali, oltre che perl’avvento della guerra dei dazi. Dalle elezioni in Brasile all’addio alla politica della Merkel, molti sono gli eventi che muteranno i rapporti politici negli anni a venire.

A far da sfondo a questo intrecciarsi di vicende, c’è la contesa commerciale portata avanti, principalmente, dalle amministrazioni di Washington e Pechino. Lo scorso gennaio, con la decisione del presidente americano di imporre maggiori dazi doganali su lavatrici e pannelli solari, è iniziata una guerra commerciale che sembra tuttora lontana da un accordo risolutore. Donald Trump, dopo aver impostato una campagna elettorale sull’attuazione di misure protezionistiche a difesa delle imprese locali, sta tagliando i ponti con la Cina per quanto riguarda lo scambio di beni e prodotti.

Ma perché Trump è così interessato a colpire Pechino? La risposta riporterebbe la questione indietro, fino a quel fatidico 2001, anno in cui la Cina ha avuto accesso al mercato globale. Da quel momento il deficit commerciale tra Cina e Stati Uniti sarebbe stato sempre più a sfavore di questi ultimi, generando malcontento nelle industrie locali.

La questione è però molto più intricata di quanto voglia far apparire la narrazione della Casa Bianca. Per quanto sia vero che l’import dalla Cina sia aumentato notevolmente, ciò non si traduce necessariamente in minor competitività per le aziende americane. Molte materie prime provenienti dalla Cina vengono poi riconvertite in prodotti hi-tech e impedire lo scambio commerciale di beni aumenterebbe i costi per molti prodotti, a danno degli stessi americani e dell’export. Anche se l’imposizione di dazi su acciaio ed alluminio è stata letta come un attacco a Pechino, al fine di salvare il “Made in USA”, va fatto notare che la Cina non è nemmeno tra i primi 10 paesi per import di queste materie prime sul suolo americano, visto che il maggior volume di importazioni di metalli avviene dal suolo americano, Canada e Brasile in primis.

Se è vero che molti americani hanno votato Trump al grido di “America First”, forse molti di meno sono consapevoli di quanto i legami con la Cina assicurino posti di lavoro sul suolo statunitense. Un caso esemplare è stato quello della mossa in “ritirata” di Jack Ma, fondatore e numero uno del colosso cinese del commercio elettronico Alibaba, ormai deciso a non portare più investimenti in America e a far svanire l’ipotesi di un milione di posti di lavoro per gli americani. L’imprenditore cinese vede questa guerra commerciale solo agli albori, con durata stimata di circa venti anni e, purtroppo, non è il solo a pensarla in questo modo.

Quale che sia l’esito di questa contesa, la conta dei danni si avrà su ogni fronte coinvolto. Difficilmente ci sarà un vero vincitore e, secondo gli esperti, la perdita sarà assicurata in termini di potere d’acquisto.

Per fonti e dati si può fare riferimento al link http://trademachines.it/info/guerra-commerciale/ sulla vicenda pubblicato da TradeMachines.

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