«Il deficit annuale dell’Italia deve calare anche più di quanto chiede l’Europa». Sono le testuali, ferme parole del Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, attualmente tra gli italiani, se non l’italiano più credibile e più stimato a livello internazionale. In altre parole, i 2.350 miliardi di euro di debito pubblico non sono più sostenibili, vanno progressivamente ridotti. Per tutelare l’Italia di oggi, ma ancor più quella di domani.
Indebitarsi non è un’eresia, anzi. La storia dell’umanità, specie quella del ’900, ha ampiamente dimostrato che ricorrere alla leva finanziaria, in maniera ragionevole e condivisa, ha significato per molte Nazioni l’uscita dalla miseria, la creazione e il consolidamento di un benessere sempre più diffuso. Ricordiamo, in tal senso, le teorie di J. M. Keynes. In sostanza, quindi, le risorse che ci derivano dal debito contratto non vanno sperperate, bensì ci devono mettere nelle condizioni di creare nuova ricchezza. Proprio qui sta il punto decisivo.
All’attuale livello dei tassi, il nostro debito pubblico, perché ricordiamoci sempre che è di tutti noi (!), ci costa 90/100 miliardi all’annosolo di interessi. Interessi che non creano ricchezza e nemmeno nuovo benessere, ma anzi faranno aumentare anno dopo anno l’ammontare del debito stesso. Il disavanzo annuale del bilancio statale dell’Italia è infatti previsto nel 2019 al 2,9% del Prodotto Interno Lordo e addirittura tale rapporto volerà al 3,5% nel 2020.
Pertanto, non vi è altra soluzione. Il debito pubblico va significativamente ridotto, come ci raccomanda fermamente il presidente della BCE Mario Draghi, almeno di qualche centinaio di miliardi di Euro.
Ma come? Chiedendo equamente a chi più può, di fare una tantum la propria parte per il Paese. Questo a partire da un livello di reddito annuo e di patrimonio personale che potrebbe essere posto ad esempio a 50.000 euro. Salvaguardando, quindi, da questa improrogabile operazione straordinaria le fasce della popolazione con reddito più basso.
A chi ha dai 50.000 euro in su dovrebbe essere richiesto un contributo una tantum variabile dal 5% al 10%. L’importo ottenuto, stimabile in 600/800 miliardi di euro, dovrebbe essere affidato ad un Commissario super partes, nominato ad hoc dalla Commissione Europea o dalla Banca d’Italia, e dovrebbe essere finalizzato alla sola riduzione dell’ammontare complessivo del nostro debito pubblico. Debito che potrebbe così scendere a poco più di 1.500 miliardi di euro. Entità certamente sopportabile dal sistema Italia, essendo stimata la “ricchezza privata” del Paese poco meno di 12.000 miliardi di Euro, ovvero circa cinque volte il debito pubblico. L’operazione libererebbe molte risorse per quegli investimenti di cui il nostro Paese necessita con urgenza da molti anni, oltre a destinarle per ottenere un significativo ribasso del carico fiscale per le famiglie e le imprese.
Contestualmente, la spesa corrente dello Stato italiano dovrà responsabilmente ridursi, con l’eliminazione di sprechi, di privilegi e di enti ormai inutili, con privatizzazioni e liberalizzazioni coerenti ad un virtuoso concetto di “Big Society”, con un progressivo innalzamento dell’età pensionabile in linea con l’aumentata speranza di vita di ognuno di noi.
Opportune agevolazioni fiscali nei confronti di chi meno ha e delle nostre imprese, potrebbero rimettere in moto la domanda interna di beni e servizi, con un comprensibile grande beneficio in termini di Prodotto interno lordo, ovvero di nuova ricchezza nazionale prodotta e distribuita.
Sono fermamente convinto che i suddetti provvedimenti potrebbero contribuire a portare l’Italia nuovamente e virtuosamente su un binario di crescita, riacquistando una rinnovata importante credibilità e affidabilità internazionale.
In sintesi finale, ridurre il debito pubblico italiano, del quale chi più e chi meno abbiamo beneficiato tutti (sanità, scuole, pensioni, trasporti, strade ecc.), è un atto di responsabilità propria di un onesto e capace padre di famiglia.
Mi rendo conto che tutto questo elettoralmente paga molto poco. Ma come ci ha lasciato scritto con saggezza Alcide Degasperi, “…il vero politico non guarda alle prossime elezioni, bensì alle prossime generazioni…”.
E’ sul tavolo un doveroso e necessario patto anche e soprattutto con le nostre giovani generazioni e quelle future, alle quali devono essere date e garantite le stesse opportunità che hanno avute le nostre generazioni a partire dal secondo dopoguerra. In più, sono altrettanto certo, otterremo l’ulteriore pregevole risultato di veder crescere la nostra autostima come Paese e il nostro senso civico di appartenenza ad un popolo tra i più ammirati al mondo per la sua creatività, per la sua capacità innovativa e per il suo innato senso di solidarietà verso gli altri.
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