L’Archivio di Mischa Scandella donato alla Fondazione Cini

La Commedia degli Zanni in scena al teatro Ca’ Foscari.  Di Giovanni Greto

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Archivio Mischa Scandella

In occasione del convegno internazionale di studiGiovanni Poli. La scena dell’essenzialità”, tenutosi in questi giorni nell’isola di San Giorgio, Maria Ida Biggi, direttore dell’Istituto per il teatro e il melodramma della Fondazione Cini ha invitato la stampa nella sala Barbantini per annunciare l’acquisizione dell’archivio di Mischa Scandellacelebre scenografo e costumista veneziano, (Venezia, 5 dicembre 1921 – Roma, 31 marzo 1983). Come ha rivelato il figlio Giovanni, nel corso dell’incontro conclusosi con la firma sulla donazione, l’idea di donare l’archivio del padre si deve anche ad un’intuizione della professoressa Biggi che lo ha fatto riflettere.

In occasione del convegno è stata allestita una sintetica, ma interessante mostra nella sala espositiva della Biblioteca della Manica Lunga, intitolata “Due veneziani in scena: Giovanni Poli e Mischa Scandella”, visitabile fino al 30 novembre. In essa, frutto di una selezione di materiali appartenenti ai Fondi di archivio di Giovanni Poli (anche questo donato alla Fondazione, per volontà dei figli del regista, Stefano e Massimo, il 20 ottobre 2017) e di Mischa Scandella, viene documentata la fruttuosa e lunga collaborazione tra il regista e lo scenografo, protagonisti della scena veneziana e figure di spicco del panorama teatrale italiano del secondo dopoguerra.

Tra i materiali esposti, emergono quelli relativi alle messe in scena di “Antigone” di Jean Anouilh, il primo spettacolo concepito dall’inclito duo, che debuttò al teatro La Fenice nel luglio del 1946; “L’amore delle tre melarance” di Sergej Prokof’ev (al Festival dei due Mondi di Spoleto nel 1962, ripreso a Torino nel 1977, l’ultimo lavoro realizzato insieme prima della scomparsa di Poli); la “Piovana” di Ruzante (1963); “La commedia degli Zanni” di Giovanni Poli, che debuttò al Teatro-Studio di Milano nel 1964; “Mefistofele” di Arrigo Boito, che esordì al Verdi di Trieste nel febbraio del 1968 e poi incontrò il successo alle terme di Caracalla a Roma; “La sposa sorteggiata” di Ferruccio Busoni, di nuovo al teatro Verdi di Trieste nel dicembre del 1968.

L’Archivio Mischa Scandella è composto da materiali eterogenei e si presenta come uno strumento fondamentale per lo studio dell’attività artistica dello scenografo e costumista veneziano : disegni originali, schizzi, bozzetti e figurini, nonché vari materiali preparatori alla messa in scena delle differenti produzioni cui Scandella ha collaborato nel corso della sua carriera. A completare il fondo, una corposa rassegna stampa e una parziale cronologia degli spettacoli redatta dalla moglie dell’artista.

Giovanni Scandella, nel suo intervento, si è mostrato soddisfatto della donazione. «E’ una cosa importante per la mia famiglia, perché da tempo cercavo una collocazione per un cospicuo materiale sparso tra Venezia, Bologna e Roma» (dove la famiglia risiede). Non tutto il materiale è arrivato, ma quello che c’è, messo in sicurezza con estrema cura dai collaboratori della professoressa Biggi, si può già consultare.

Le scenografie di Scandella spaziano tra ambienti immaginari di differente ambito e provenienza: dai contesti più spogli delle Sacre Rappresentazioni fino alle prospettive rinascimentali; dalle scene di ispirazione seicentesca fino alle sperimentazioni più vicine al contemporaneo. «Lo scenografo – afferma Scandella – non può nascere nel chiuso di uno studio, ma solo sulle tavole del palcoscenico, a stretto contatto dei registi, degli attori e dei macchinisti che devono realizzare con le tele e le cantinelle i suoi bozzetti».

L’incontro tra i due figli («ho ritrovato un cugino», queste le parole di Stefano Poli, riferendosi al fatto che Giovanni e Mischa erano come due fratelli) ha anche riportato in primo piano l’importante esperienza dell’associazione culturale l’Arco, fondata da una serie di artisti – oltre a Poli e Scandella, Emilio Vedova, Arnaldo Momo, Arnaldo Pizzinato, Luigi Ferrante, Ferruccio Bortoluzzi – e da un gruppo di intellettuali. Fondata nel 1945, diverrà un punto di riferimento nell’ambito della sperimentazione artistica multi-disciplinare d’avanguardia.

Per arricchire sia la mostra che il convegno è stato rimesso in scena da Stefano Poli, che ha ripreso la regia del padre Giovanni, il più grande successo del regista veneziano, “La commedia degli Zanni”. Realizzato nel 1958 dal Teatro di Ca’Foscari, lo spettacolo aveva esordito con successo al festival internazionale del teatro universitario di Salonicco – ebbe 23 minuti di applausi, ha ricordato Stefano Poli – al punto da venir richiesto in ogni parte del mondo, proiettando verso un riconoscimento universale Giovanni Poli. La commedia, andata in scena per tre giorni al teatro Ca’ Foscari di S. Marta, ha visto impegnati 12 giovani attori ed un liutista ad eseguire le musiche dal vivo, provenienti per lo più dall’esperienza del teatro a l’Avogaria, l’officina teatrale creata da Poli nel 1969, tuttora viva grazie alla passione del figlio Stefano. E’ stata prodotta da “Teatro Ca’Foscari-Fondazione Ca’Foscari” in collaborazione con l’Istituto per il Teatro e il Melodramma – Fondazione Giorgio Cini.

Frutto di studi compiuti da Poli su documenti originali di teatro cinquecentesco, la commedia è una storia antologica delle principali maschere italiane (lo Zanni, che poi diventerà Arlecchino; Pantalone, il Dottor Balanzone, il Capitano), giocata su contrasti di sapore primitivo. Si compone di brani singoli e pezzi ricuciti pazientemente, capaci di delineare i tratti peculiari di ciascuna maschera e, nell’insieme, dar vita a un susseguirsi di avvenimenti fantastici trattati in forma di filastrocca popolaresca o di altri generi letterari seicenteschi. «La commedia degli Zanni – afferma Poli – più che una vera e propria commedia dell’arte, in quanto è assente l’improvvisazione, è costruita secondo un particolare modo di sentire le maschere del Cinquecento, rivissute e riproposte in rapporto alle esigenze di rinnovamento delle scene moderne: l’espressione scenica è trasfigurazione della realtà in astrazione della “parola detta”, del gesto e del colore-luce e, pertanto, in valori ritmico-musicali esteticamente puri».

I nuovi interpreti di una rappresentazione tuttora viva e vitale si sono distinti per accuratezza, energia giovanile, affiatamento, oltre ad una bravura nel mandare a memoria un testo che si esprime spesso nel difficile dialetto bergamasco. Applausi meritati, da parte di un pubblico non solo giovane, ma anche di signori di una certa età, attori del passato tuttora attivi, che si sono cimentati con la commedia dell’arte.

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