In Italia basterebbe far emergere quanto si evade di Iva per coprire quasi per intero la prossima manovra finanziaria, ad iniziare dal costosissimo reddito di cittadinanza. Secondo un rapporto diffuso a settembre dalla Commissione Europea, la differenza tra quanto lo Stato incassa dall’Iva e quanto in linea teorica dovrebbe raccogliere è stata nel 2016 – ultimo anno analizzato nella sua interezza – di 35,9 miliardi, tra elusione fiscale ed errori nei calcoli della tassa. Circa un quarto dei 147,1 miliardi di euro frodati nell’intera Unione Europea, più che in ogni altro Paese.
Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, proprio a partire da questi dati ha provato a stimare il dato relativo al gap Iva in Veneto e nella provincia. Lo ha fatto partendo dalle proporzioni presenti nello studio “Asymmetries in the territorial VAT gap”, elaborato dall’Agenzia delle Entrate, che analizzava il fenomeno nel corso degli anni da una prospettiva legata alle singole regioni. Un rapporto da cui emerge che l’evasione Iva, in Veneto, “pesa” per il 9,16% su quella totale in Italia. Vale a dire, considerando il 2016, per circa 3.296 milioni di euro (più di quanto non si evada nell’intero Belgio, dove si registra un gap Iva di 3.079 milioni di euro, o in Danimarca, dove il dato si assesta sotto i 2 miliardi e mezzo). E Padova? Considerando l’incidenza dell’economia provinciale rapportata a quella regionale, per lo stesso anno si può arrivare a stimare il dato in circa 649 milioni di euro. Più di quanto non si evada in stati come la Svezia (465 milioni di euro di gap Iva) e, ad esempio, più del doppio che in Lettonia (258).
È tuttavia significativo notare come l’incidenza dell’evasione in Veneto su quella italiana rispecchi il rapporto che esiste tra il Pil regionale e quello nazionale: il Veneto produce il 9,21% del prodotto interno lordo del Paese. A partire da questa constatazione Fabbrica Padova ha elaborato un indice che tiene conto di questi due fattori (si veda la tabella), prendendo in esame i dati di alcune regioni italiane per quanto riguarda il contributo alla ricchezza nazionale e l’evasione dell’Iva. L’indice assegna il valore 1 a un livello di evasione “proporzionato” alla produttività, valori superiori all’1 se l’evasione è più alta e inferiori se è più bassa. Si nota come i 5.251 milioni di evasione Iva stimati per la Lombardia (14,59% dell’evasione Iva italiana), siano ad esempio inferiori al 21,71% del suo apporto al Pil (indice 0.67). In Campania (evasione Iva pari al 10,62%, produttività al 6,11%, indice di 1,74) la situazione è opposta, per non parlare della Calabria (indice 1,90).
«Quelle relative all’evasione dell’Iva sono cifre mostruose, che da sole danno l’idea di quanto qualsiasi misura in grado di combattere il fenomeno vada favorita – afferma Carlo Valerio, presidente di Confapi Padova -. Non è una giustificazione, ma se in Italia si evade così tanto è anche per via della troppa burocrazia che agevola coloro che non vogliono pagare le tasse, dell’eccessiva propensione all’uso del contante in confronto alle altre nazioni e del continuo ricorso da parte dei Governi che si sono succeduti negli anni di misure inquadrabili come condoni che sono, in un certo senso, una sorta di incentivo all’evasione».
Secondo Valerio «i dati elaborati dal nostro centro studi ci dicono che, contrariamente a quanto si possa pensare rifacendosi al luogo comune dei piccoli imprenditori del Nord e dei lavoratori autonomi che evadono appena possono, il fenomeno incide molto di più in altre regioni, proprio quelle che, in questi anni, hanno goduto di forme assistenzialistiche più spinte e che potrebbero goderne ancora. Un esempio? Sicilia e Campania da sole – lo attestano i dati Inps – coprono il 53% del totale delle persone che beneficiano del reddito di inclusione varato dal governo Gentiloni lo scorso dicembre. Dei 6.5 milioni di potenziali beneficiari del reddito di cittadinanza di cui si discute oggi, 1,7 sono concentrati nell’Isola. Attenzione: noi non diciamo certo che il Mezzogiorno non vada aiutato, ma non attraverso quelle che rischiano di essere misure che, se non ci sarà ad esempio un ripensamento dei centri per l’impiego, disincentivano il lavoro. Dirò di più: evitiamo che l’aiuto di Stato si assommi all’aiuto che si dà, da solo, chi evade e poi dichiara di vivere in condizioni di povertà. Il rischio, se non individuiamo gli anticorpi che consentono di identificare chi imbroglia, è che gli imprenditori onesti si ritrovino a pagare anche per chi non lo è».
© Riproduzione Riservata