Sono passati più di 4 anni dal 13 marzo 2014, quando l’ex premier Matteo Renzi promise in tv urbi et orbi agli italiani che il 21 settembre (San Matteo) di quell’anno avrebbe fatto un pellegrinaggio al santuario di Monte Senario in occasione del proprio onomastico se il suo Governo non avesse pagato tutti i debiti dello Stato, quelli che la pubblica amministrazione aveva contratto fino al 2013. Da allora la situazione è rimasta sostanzialmente invariata.
Il centro studi ImpresaLavoro si è preso la briga di analizzare la relazione annuale presentata a fine maggio dalla Banca d’Italia dove si certifica che nel 2017 lo stock dei debiti accumulati dal comparto pubblico ammonta ancora a 57 miliardi di euro, appena 7 miliardi in meno rispetto all’anno precedente. «Questo dato conferma quanto abbiamo denunciato a più riprese: i debiti commerciali si rigenerano con frequenza, dal momento che beni e servizi vengono forniti di continuo – sottolinea il presidente, l’imprenditore Massimo Blasoni -. Pertanto liquidare solo in parte con operazioni spot i debiti pregressi di per sé non riduce affatto lo stock complessivo: questo può avvenire soltanto nel caso in cui i nuovi debiti creatisi nel frattempo risultino inferiori a quelli oggetto di liquidazione».
Ma se Renzi tradì la promessa fatta ai creditori, Di Maio & Soci non stanno certo facendo meglio. Anzi, l’indecisionismodell’esecutivo in materia economica e fiscale, per le visioni antitetiche che dividono i due alleati di governo, rischia di produrre effetti peggiori. «Ne consegue un dato gravissimo per tutte le imprese italiane coinvolte – prosegue Blasoni -: questo ritardo sistematico è infatti costato loro la bellezza di 4,172 miliardi di euro, cifra generata dagli interessi passivi dovuti per anticipare il credito necessario a pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi. Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento il dato fornito da Bankitalia sullo stock complessivo e il costo medio del capitale (pari al 7,32% su base annua) che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti. L’attuale governo Conte è sostenuto da due forze politiche che su questo punto non hanno mai lesinato aspre critiche agli esecutivi Renzi e Gentiloni. In particolare ci aspettiamo che il nuovo ministro dello Sviluppo economico Di Maio vorrà dare al più presto un seguito concreto agli impegni assunti in campagna elettorale».
Meglio non fidarsi. L’ultima edizione dell’European Payment Report di Intrum Justitia rivela che in Italia il tempo medio di pagamento da parte del settore pubblico è salito nell’ultimo anno da 95 a 104 giorni. Questa situazione si ripercuote negativamente soprattutto sulle piccole e medie imprese, costrette come sono ad accettare termini di pagamento troppo lunghi e spesso imposti dalle imprese più grandi. Dopo un lieve calo dei tempi di pagamento registrato tra il 2015 e il 2016 (da 131 giorni a 95 giorni) soprattutto per merito della fatturazione elettronica, il dato ha ripreso nuovamente a salire nel 2017 facendo conquistare all’Italia il primato negativo in Europa. Il nostro valore attualmente supera infatti di 18 giorni quello del Portogallo e di ben 31 giorni quello della Grecia, che l’anno precedente guidava la classifica con 103 giorni. Resta inoltre più alto di 44 giorni rispetto al Belgio, di 48 giorni rispetto alla Spagna, di 49 giorni rispetto alla Francia, di 61 giorni rispetto all’Irlanda, di 71 giorni rispetto alla Germania e di 78 giorni rispetto al Regno Unito.
Di questo passo, invece di aspettare San Matteo si dovrà cambiare patrono, passando a San Gigetto da Pomigliano d’Arco.
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