Cina: 7 abitanti su 10 non conoscono il Made in Italy

Lo rivela un estratto dell’indagine dell’Osservatorio Paesi terzi di Business Strategies. La curiosità verso ‘nuovi prodotti italiani a oggi non disponibili’ è alta, soprattutto per il cibo (51%) e la moda (45%), seguiti da vino e arredo (29%) e l’auto (17%). 

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Made in italy

È la Ferrari (18%) il prodotto/marchio di gran lunga più conosciuto dalle classi cinesi più alte, seguito da pasta (10%), Gucci (9%), Barolo e Fiat al 5% e Armani al 4%. Ma quasi 7 intervistati delle metropoli cinesi non sono in grado di citare alcun simbolo del Made in Italy tra cibo, vino, moda, arredo e auto. Lo rivela un estratto dell’indagine dell’OsservatorioPaesi terzi di Business Strategies sul posizionamento del prodotto in Italia in Cina condotta da Nomisma Wine Monitor su un campione di 2.000 cittadini dal reddito medio-alto residenti a Pechino, Shanghai, Canton e Hong Kong.

Un gap di conoscenza – secondo l’indagine “Percezione e posizionamento del Made in Italy in Cina” – cui fanno da contraltare le intenzioni di acquisto dichiarate dai consumatori, che prevedono un aumento della spesa nei prossimi 2-3 anni di prodotti italiani in particolare per cibo, vino e moda. In generale la curiosità verso “nuovi prodotti italiani a oggi non disponibili” è alta, soprattutto per il cibo (51%) e la moda (45%), seguiti da vino e arredo (29%) e l’auto (17%). Tra i marchi più ambiti, l’unico che si distingue in doppia cifra è ancora quello del Cavallino rampante di Maranello (24%) in un panel di risposte in cui emerge tutta la non conoscenza dei merchi del Belpaese.

«La missione in Cina del ministro Di Maio di questi giorni – ha detto l’amministratore delegato di Business Strategies, Silvana Ballotta – riporta l’attenzione sulla necessità di ancorare la promozione e la conoscenza del Made in Italy su fatti concreti e non su annunci fine a se stessi. Il peso dell’Italia sul totale delle importazioni cinesi è ancora minimo: con un valore di 18 miliardi di euro, il Made in Italy vale solo l’1% del totale delle importazioni cinesi e occupa il 22° posto nella classifica dei Paesi fornitori. Una quota di mercato che si abbassa ancora di più se si considera il solo import agroalimentare, allo 0,5%, che riesce a far sembrare gigantesca pure la “nanoshare” del nostro mercato vinicolo, attorno al 6%. C’è spazio e c’è voglia di Made in Italy – ha concluso –, i consumatori sono curiosi, ma per tradurre questo gap in potenziale dobbiamo imparare a raccontarci a partire dal prodotto».

Nell’analisi sulla precezione tra Italia, Giappone, Usa e Francia, l’aggettivo/immagine riservato al Belpaese è quello della passione, mentre il Giappone si distingue per cultura/tradizione, qualità, salute/benessere e risparmio. In generale l’affermazione dell’unicità dello charme francese è evidente e si evidenzia nell’estetica/bellezza, stile/eleganza e status symbol/lusso. Agli Stati Uniti viene associata l’immagine di creatività e dell’innovazione.

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