Ceto medio fiscalmente mazziato: il 45% dei contribuenti italiani paga il 2,82% di Irpef, mentre il 12% ne paga oltre il 57%. Questo il dato macroscopico che emerge dall’indagine conoscitiva “Dichiarazione dei redditi ai fini Irpef 2016 per importi, tipologia di contribuenti e territori e analisi Irap” realizzata da Itinerari Previdenziali, sostenuta da CIDA, la Confederazione dei manager e delle alte professionalità, presentata al Cnel.
«Su un piatto della bilancia c’è l’eccessiva pressione fiscale sui redditi medio-alti, l’evasione e l’elusione fiscale, il proliferaredi detrazioni e agevolazioni fiscali, dall’altro le difficoltà di reperire le risorse necessarie a mantenere gli attuali livelli di welfare: se non si interviene in modo tempestivo ed organico non si troveranno più le risorse necessarie a finanziare l’assistenza sociale, con gravi ripercussioni sulla qualità della vita – ha detto Giorgio Ambrogioni, presidente CIDA, aprendo i lavori del convegno -. I dati illustrati dimostrano come troppo pochi paghino le tasse; da un lato è cresciuta l’area dell’esenzione e delle agevolazioni fiscali legate al reddito, spesso motivate da clientele e favoritismi elettorali, e dall’altra sono aumentate evasione ed elusione fiscale».
Secondo Ambrogioni «è evidente che stando così le cose, le risorse per il welfare “allargato” sono sempre meno e finiscono con l’essere prelevate in misura crescente laddove è più facile reperirle. Ovvero nel lavoro dipendente e nelle pensioni in cui i redditi dichiarati sono certificati dal sostituto d’imposta. Un sistema ormai perverso che non solo “incentiva” a dichiarare il meno possibile per versare meno tasse e godere di una più vasta offerta di servizi sociali legati al reddito, ma che colpisce in modo progressivo – con l’attuale curva degli scaglioni – stipendi e pensioni medio-alte impoverendo il ceto medio e livellando verso il basso il tenore di vita. A questo scenario vanno poi a sommarsi ulteriori provvedimenti “punitivi”, grossolanamente mascherati da interventi di equità».
Il presidente della Cida fa riferimento «alle cosiddette “pensioni d’oro” sacrificate sull’altare della propaganda politica, che invece trascura il vero “tesoro” costituito dai 130 miliardi di evasione fiscale, con un mancato gettito di oltre 30 miliardi l’anno. Di fatto – prosegue Ambrogioni – con l’attuale sistema, chi è in regola con il fisco finisce, inevitabilmente, con il sostenere finanziariamente il welfare di chi non versa come e quanto dovrebbe. E il combinato disposto dell’imposizione sui redditi da lavoro dipendente e da pensioni, con l’attuale sistema di aliquote e scaglioni, sommato alle sacche di elusione ed evasione, secondo la ricerca di Itinerari Previdenziali, fornisce un quadro insostenibile della fiscalità italiana».
Il 12% dei contribuenti versa circa il 57% dell’Irpef complessiva, un 12% composto da contribuenti che dichiarano redditi dai 35.000 ai 300.000 euro annui. «Ma la rivendicazione di categoria che rappresentiamo è solo la cartina di tornasole di un sistema che non regge più e il cui malfunzionamento, dimostrato ancora una volta da Itinerari previdenziali, mina alla base lo Stato sociale che conosciamo e che l’Italia ha costruito un pezzo alla volta, dal Dopoguerra ai giorni nostri. Come è possibile, infatti, che i circa 300.000 dirigenti (pubblici e privati) che rappresentiamo e che percepiscono una retribuzione netta compresa tra i 3.000 ed i 5.000 euro al mese, siano la maggioranza dei contribuenti appartenenti alle classi di reddito più elevate, quando consultando i documenti dell’Aci, dell’Agenzia delle Entrate e del Registro navale si evince che le autovetture di grossa cilindrata, cioè oltre i 2.500 cc, sono quasi 1,5 milioni, che almeno 1 milione di italiani soggiorna ogni anno negli alberghi a 5 stelle e di lusso, che le abitazioni di pregio, cioè ville e villini, iscritte nei registri catastali superano i 2 milioni, che nelle capitanerie di porto risultano iscritte 80.000 imbarcazioni di almeno 10 metri di lunghezza. E l’elenco potrebbe continuare se ci soffermassimo sul divario fra gli indici del tenore di vita ed i dati del fisco», conclude Ambrogioni.
«Quella che emerge dalla quinta indagine sull’Irpef di Itinerari Previdenziali – ha detto Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – è una fotografia da Paese rassegnato, e non certo del rango G7, che sta mettendo in particolar modo alla prova la cosiddetta classe media, spesso costretta a pagare più tasse per sopperire alla massa che non le paga. D’altra parte, le dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef presentate lo scorso anno sottolineano il perdurare di una situazione di criticità nell’impianto fiscale italiano, imputabili ad almeno due ragioni: la prima è da individuare nel sistema che, lungi dal far emergere i redditi, sembra piuttosto incentivare a dichiarare il meno possibile, così da poter usufruire delle agevolazioni fiscali e dei benefici collegati al reddito, che Stato, Regioni ed Enti locali erogano di fatto sulla base di quanto si dichiara, spesso tramite un Isee facilmente aggirabile, e in assenza di una banca dati nazionale dell’assistenza; la seconda, invece, nella somma di alte aliquote fiscali sui redditi con doppia progressività che, abbinate ad alte imposte indirette, in primis l’Iva, incentivano a pagare in modo irregolare».
Secondo Brambilla «se si vuole mantenere un welfare che possa garantire anche in futuro la coesione sociale e la copertura dei più deboli è fondamentale allora affiancare a un serrato controllo della spesa assistenziale anche un accorto monitoraggio delle entrate fiscali e segnatamente dell’Irpef. E, ancor di più, investire le poche risorse disponibili in ricerca, sviluppo e sostegno all’occupazione».
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