Secondo un’analisi realizzata dall’Ufficio studi della Cgia e riferita al 2016, sono 4,7 milioni gli italiani interessati al lavoro domenicale. Tra questi 4,7 milioni, 3,4 sono lavoratori dipendenti e gli altri 1,3 sono autonomi (artigiani, commercianti, esercenti, ambulanti, agricoltori, etc.). Se 1 lavoratore dipendente su 5 è impiegato alla domenica, i lavoratori autonomi, invece, registrano una frequenza maggiore: quasi 1 su 4.
Il settore dove la presenza al lavoro di domenica è più elevata è quello degli alberghi/ristoranti: i 688.300 lavoratori dipendenti coinvolti incidono sul totale degli occupati dipendenti del settore per il 68,3%. Seguono il commercio (579.000 occupati pari al 29,6% del totale), la pubblica amministrazione (329.100 dipendenti pari al 25,9% del totale), la sanità (686.300 pari al 23% del totale) e i trasporti (215.600 pari al 22,7%).
«La maggiore disponibilità di alcuni territori al lavoro domenicale – dichiara il segretario della Cgia, Renato Mason – va in gran parte ricondotta al fatto che buona parte del Paese ha un’elevata vocazione turistica che coinvolge le località montane e quelle balneari, le grandi città, ma anche i piccoli borghi. E quando le attività turistico-ricettive sono aperte anche la domenica, i settori economici collegati, come l’agroalimentare, la ristorazione, i trasporti pubblici e privati, i servizi alla persona, le attività manutentive, etc., sono incentivate a fare altrettanto».
Le realtà territoriali dove il lavoro domenicale è più diffuso sono quelle dove la vocazione turistica/commerciale è prevalente: Valle d’Aosta (29,5% di occupati alla domenica sul totale dipendenti presenti in regione), Sardegna (24,5%), Puglia (24%), Sicilia (23,7%) e Molise (23,6%) guidano questa particolare graduatoria. In coda alla classifica, invece, si posizionano l’Emilia Romagna (17,9%), le Marche (17,4%) e la Lombardia (16,9%). La media nazionale si attesta al 19,8%.
«Negli ultimi anni – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – l’andamento degli occupati di domenica è aumentato costantemente sia tra i dipendenti che tra gli autonomi. Nel settore commerciale, grazie alla liberalizzazione degli orari introdotta dal Governo Monti, una risposta alla crisi è stata quella di aumentare i giorni di apertura dei negozi. Con la grande distribuzione e gli outlet che durante tutto l’anno faticano a chiudere solo il giorno di Natale e quello di Pasqua, anche le piccolissime attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare, sono state costrette a tenere aperto anche nei giorni festivi per non perdere una parte di clientela».
Rispetto agli altri paesi europei, l’Italia si posiziona negli ultimi posti della classifica del lavoro domenicale. Se nel 2015, in riferimento ai lavoratori dipendenti, la media dei 28 paesi Ue era del 23,2% – con punte del 33,9% in Danimarca, del 33,4% in Slovacchia e del 33,2% nei Paesi Bassi – nel Belpaese la percentuale era del 19,5%. Solo Austria (19,4%), Francia (19,3%), Belgio (19,2%) e Lituania (18%) presentavano una quota inferiore a quella italiana.
Sul tema delle aperture domenicali interviene anche Confcommercio Veneto: «un contenimento del numero di negozi aperti nei giorni festivi, oltre che per quella del personale, rappresenta la via maestra per la tutela del piccolo commercio, che continua a essere un valore anche sociale» afferma il presidente di categoria, Massimo Zanon in risposta alle dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico e vicepremier, Luigi Di Maio. «Il Veneto chiedeva 20-24 aperture su 54 festività, escludendo dalle aperture le date più importanti del calendario – ricorda Zanon – Credo si possa senz’altro arrivare a una mediazione che possa soddisfare imprese, lavoratori e cittadini, considerato anche i rischi a livello occupazionale, una mediazione che va condivisa a livello territoriale. Va tenuto conto, per inciso, che un giorno di chiusura festiva rappresenta per le imprese un risparmio in termini di costi fissi e di straordinari. Bisogna a questo proposito trovare un equilibrio distinguendo i centri storici ad alta densità turistica da quelle zone che non hanno una vocazione di questo tipo».