Di Giovanni Greto
Potrebbe essere il disco conclusivo, “3”, il terzo per l’appunto, risultato da una serie di incisioni effettuate all’Auditorium Parco della Musica di Roma da Gino Paoli e Danilo Rea. Un duo affiatatissimo, che interpreta con eleganza, freschezza e sensibilità una serie di canzoni senza tempo.
Dopo “Due come noi che…”, incentrato sul repertorio del cantautore genovese di fatto, anche se nato a Monfalcone, e l’omaggio alla grande tradizione della canzone napoletana, “Napoli con amore”, “3” esplora la “chanson” francese proponendo 12 titoli, due dei quali vengono reinterpretati anche nella traduzione italiana dello stesso Paoli.
Anche se sembra più a suo agio nell’idioma natio, Paoli riesce a rendere con efficacia le canzoni francesi, contrassegnate da una tristezza e una malinconia di fondo, attraverso un modo di cantare ora carezzevole, ora brusco, essenziale e mai prolisso, addolcito e arricchito dal lavoro pianistico di Rea, abile a sottolineare le diverse situazioni narrate dai testi. E allora è bello lasciarsi trasportare, magari ad occhi chiusi, da un duo che procede a memoria, improvvisando, soprattutto Rea, secondo una fertilità tipica della musica Jazz. Una serie di canzoni da ascoltare a luci soffuse, alla fine di una giornata di lavoro, nel calore della sera, oppure prima di coricarsi, per gettarsi alle spalle quanto di ostile la giornata ha portato con sé.
In scaletta spiccano canzoni conosciutissime come “Les feuilles mortés” di Joseph Kosma e Jacques Prevert, diventata uno standard pop e jazzistico – indimenticabili le numerose versioni mozzafiato di “Autumn leaves” registrate da Miles Davis – accanto ad altre di autori famosi quali Charles Trenet, Jacques Brel, Leo Ferré, Serge Gainsbourg. Di Brel e Ferré Paoli sceglie rispettivamente “ne me quitte pas” e “avec le temps”, reinterpretate in italiano nelle ultime tracce del disco con il titolo di “Non andare via” e “Col tempo”. Si nota una resa diversa, secondo la lingua utilizzata. In italiano c’è uno spazio maggiore per i recitativi, mentre entrambe sono più sussurrate rispetto alle versioni francesi, molto malinconiche, sottolineate da figurazioni romantiche o classicheggianti di Rea.
Asciutta è la versione di “Le déserteur”, di Harold Berg e Boris Vian, incisa anni or sono da Ivano Fossati in italiano (“Il disertore”). Di Trenet, Paoli sceglie la sognante “La Mer” e un’accorata “Que reste-t-il de nous amours”, un brano amato anche da Enrico Rava, con il quale Paoli iniziò il suo percorso jazzistico nel 2007. Un percorso che ora, a quasi 84 anni, sta continuando in tour attraverso la collaborazione con il trio della pianista Rita Marcotulli.
Non resta che fare i complimenti ad un artista che nonostante qualche comprensibile difficoltà vocale, riesce a rendere con spirito giovane canzoni tecnicamente impegnative, destinate ad essere eseguite nel corso del tempo, senza perdere interesse.
A sorpresa, in scaletta trova posto “Una belle histoire”, malinconica ballata di Michel Fugain e Pierre Delanoé, che parecchi anni fa spopolò nella nostra Hit Parade col titolo “Un’estate fa”, resa con un arrangiamento di facile presa sul pubblico.