I diamanti blu sono tra i diamanti più costosi della storia: l’Hope diamond da 45 carati è stimato intorno ai 300 milioni di euro ed è conservato allo Smithsonian Institution di Washington, il Cullinan Dream di 24 carati è stato venduto nel 2018 per circa 21 milioni di euro, il Blu Farnese di circa 6 carati è stato battuto a 6 milioni di euro. Di speciale hanno il colore, dovuto alla presenza di boro, elemento chimico abbastanza raro sulla Terra (su 1 milione di atomi solo 0.2 sono costituiti da boro). Ma il boro è fondamentale per la vita: nel passato geologico si ritiene abbia stabilizzato il ribosio, contenuto in ogni cellula e facente parte di strutture complesse come l’acido ribonucleico, ed è essenziale per la nutrizione delle piante svolgendo specifiche funzioni nel metabolismo vegetale. Il 99% dei diamanti si forma tra i 120 e i 200 km di profondità, mentre soltanto l’1% si genera tra i 300 e oltre 800 km di profondità: i diamanti blu rientrano proprio in questo 1%.
Fabrizio Nestola del Dipartimento di geoscienze dell’Università di Padova è l’unico ricercatore europeo del team di scienziati che ha “conquistato” la copertina di “Nature” con l’articolo dal titolo “Blue boron-bearing diamonds from Earth’s lower mantle”. L’indagine scientifica – a cui hanno partecipato anche il Gemological Institute of America, New York, USA; il Carnegie Institution for Science, Washington, USA; la University of Cape Town, Sudafrica e guidata da Evan M. Smith del GIA – ha scoperto che il boro, nonostante sia un elemento ritenuto tipicamente superficiale, è invece contenuto nei diamanti blu che a loro volta possono formarsi a grandi profondità nel mantello (fino a 800 km). Se da un lato era noto che il colore blu ai diamanti fosse conferito dal boro, dall’altro non era assolutamente pensabile che tali gemme preziose potessero originarsi a grandi profondità nel nostro Pianeta, profondità che è stato possibile determinare grazie allo studio delle inclusioni proprio all’interno di queste preziose gemme.
In particolare, Nestola ha identificato molte delle inclusioni mineralogiche nei diamanti e calcolato la profondità a cui si sono formate attraverso un diffrattometro a raggi X a cristallo singolo acquistato con i fondi di un progetto europeo ERC vinto nel 2013. Nestola è l’unico al mondo ad applicare tale tecnica sulle inclusioni ancora intrappolate nei diamanti e per lui è la seconda copertina di una prestigiosa rivista scientifica dopo quella ottenuta nel 2016 su “Science”.
Grazie alla disponibilità di un’importante collezione di 46 diamanti blu e dopo una ricerca durata due anni, il team internazionale ha scoperto che il boro contenuto al loro interno come impurezza proviene dagli antichi oceani superficiali, le cui acque hanno interagito con le rocce oceaniche superficiali subdotte nelle ere geologiche passate. Anche se il boro nelle rocce è maggiore sulla terra che negli oceani (1.018 kg nella crosta terrestre contro i 1.015 kg delle acque del globo), il boro degli oceani ha una mobilità maggiore ed è più facile il suo trasporto verso le profondità. Nei diamanti blu, il boro costituisce un vero e proprio difetto e ha sostituito alcuni atomi di carbonio che costituiscono il diamante, dando il caratteristico colore alla pietra preziosa.
L’ipotesi proposta nella ricerca pubblicata su “Nature” è che il boro presente negli antichi oceani sia stato incorporato in quelle rocce chiamate “serpentiniti” (il “serpentino” è un minerale costituito principalmente da magnesio, silicio, ossigeno e idrogeno) le quali sono state trasportate in profondità tramite i processi di subduzione delle placche terrestri. Tuttavia, le serpentiniti ad una certa profondità (variabile tra circa 60 e 120 km) non sono più stabili e rilasciano tutta l’acqua incorporata. La maggior parte di quest’acqua risale verso la superficie terrestre, una piccola frazione viene intrappolata in altri minerali (più stabili della serpentinite a maggiori profondità) che a loro volta vengono trasportati a profondità ancora più elevate dove ad un certo punto rilasciano un fluido idrato che contiene il boro degli oceani antichi e altri elementi: se tra tali elementi vi fosse sufficiente carbonio si potrebbero generare dei diamanti blu. Tale ipotesi è suggerita dalle inclusioni studiate per la prima volta nei diamanti blu e che indicano che tali oggetti preziosi si sarebbero formati addirittura nel mantello inferiore a profondità maggiori di 660 km. La ricerca ha evidenziato che nei diamanti blu sono presenti diverse inclusioni mineralogiche – la jeffbenite (Mg3Al2Si3O12), il periclasio ricco in ferro (Mg,Fe)O, la bridgmanite MgSiO3, la perovskite CaSiO3 – che possono essere stati generati solo in presenza di pressioni e temperature ritrovabili a super profondità nel nostro Pianeta.
Inoltre, le inclusioni nei diamanti blu mostrano, all’interfaccia con il diamante, la presenza di fluidi composti da metano (CH4) e idrogeno molecolare (H2) che possono essere stati generati molto probabilmente dalla dissociazione dell’idrogeno (H) dall’acqua.
È stata quindi confermata definitivamente la teoria secondo cui c’è idrogeno a grandissime profondità del pianeta Terra. Non solo, la sua presenza è stata rilevata in tutti i diamanti blu super profondi (che sono stati trovati in diverse aree geografiche) analizzati dai ricercatori. Siccome la loro provenienza (Africa, India, Sud America e Borneo) non è limitata a una ristretta area geografica, questo porta a dire che in una fascia di profondità tra 300 e 800 km del mantello terrestre si ha molto probabilmente acqua, la cui dissociazione ha generato idrogeno e metano. Un’ipotesi alternativa potrebbe basarsi sull’originaria presenza (sin dal primo secondo di formazione della Terra) di idrogeno nel nucleo terrestre che nei miliardi e milioni di anni sta risalendo verso la superficie terrestre andando a intersecare il soprastante mantello dove cristallizzano i diamanti ma attualmente non si hanno prove per dimostrare una tale suggestiva ipotesi.
I diamanti super profondi, in questo caso quelli blu ricchi di boro, giocano quindi un ruolo cruciale nel comprendere come il nostro Pianeta si sia trasformato nel tempo: contengono carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto e boro, i cinque componenti fondamentali per la vita, e diventano “capsule” attraverso cui vengono ritrasportati in superficie questi elementi. Grazie ai diamanti e al lavoro pubblicato su “Nature” sarà quindi possibile comprendere come tali elementi siano stati veicolati e distribuiti dalla superficie terrestre fino alle profondità inaccessibili della Terra.