In Italia il livello d’istruzione generale è basso, molto basso. La quota di popolazione di 25-64 anni con almeno un titolo di studio secondario superiore è il principale indicatore per valutare il livello d’istruzione formale conseguito in un Paese. Il diploma è infatti considerato il livello minimo indispensabile per acquisire le competenze di base richieste nella società attuale e ragionevolmente anche nella futura.
In Italia, nel 2017 la quota di 25-64enni con almeno un titolo di studio secondario superiore è ancora piuttosto contenuta (60,9%, +0,8 punti rispetto al 2016) e molto inferiore a quella media europea (77,5%, +0,6 punti rispetto all’anno precedente). Su questa forte differenza incide la bassa quota di 25-64enni con un titolo di studio terziario (18,7%, +1,0 punti rispetto all’anno precedente), che è poco più della metà del rispettivo valore europeo (31,4%, +0,7 punti rispetto all’anno precedente). Tra il 2008 e il 2017, la quota di popolazione con almeno un titolo secondario superiore è cresciuta in Italia più della media europea, circa 8 punti, mentre quella di chi ha un titolo terziario è aumentata meno: +4,4 punti contro +7,2 punti.
Una peculiarità che, tra i maggiori paesi europei, accomuna Italia e Spagna è il marcato vantaggio delle donne nei livelli di istruzione secondaria: 63,0% contro 58,8% le quote, di donne e uomini, con almeno il diploma di scuola secondaria superiore) nel nostro Paese a fronte di una sostanziale parità nella media Ue. Sul fronte del titolo di studio terziario il vantaggio femminile si riscontra anche nella media europea, sebbene in Italia sia molto più accentuato (21,5% e 15,8% le quote femminili e maschili). I livelli di istruzione femminile sono peraltro aumentati nel tempo più velocemente sia per i titoli secondari superiori che per quelli terziari.
Il gap nei livelli di istruzione è molto ampio guardando la cittadinanza delle persone. Tra gli stranieri solo il 47,7% possiede almeno il diploma di scuola secondaria superiore (o equivalente) contro il 62,5% degli italiani mentre il 12,1% ha conseguito un titolo terziario a fronte del 19,5% registrato per gli italiani.
Sul territorio nazionale il più basso livello di istruzione si riscontra nel Mezzogiorno, dove poco più di un adulto su due ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore; al Centro si stima invece il valore più alto, oltre due adulti su tre. Situazione analoga si rileva per il livello di istruzione terziario che è minimo nel Mezzogiorno (15,1%) e massimo al Centro (22,8%). Le differenze territoriali permangono indipendentemente dal genere, ma sono più marcate per la componente femminile. Dal 2008 al 2017 la quota di adulti con almeno il diploma secondario superiore è aumentata in egual misura nelle tre ripartizioni territoriali mentre l’incremento di chi possiede un titolo terziario è stato più contenuto nel Mezzogiorno.
I divari generazionali sono evidenti da molti punti di vista. I più giovani sono anche i più istruiti: il 74,8% dei 25-34enni ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore contro il 47,0% dei 60-64enni; anche se resta forte lo svantaggio dell’Italia rispetto al resto d’Europa. Inoltre, aumentano le differenze di genere a favore delle donne nelle classi di età più giovani; ciò che non cambia sono i divari territoriali nei livelli di istruzione all’interno del Paese, che permangono anche fra i più giovani. Infine, i differenziali nei livelli di istruzione tra immigrati e italiani sono via via più accentuati andando dalle classi di età più mature, dove il livello di istruzione degli stranieri è piuttosto simile a quello degli italiani, verso quelle più giovani.
Questi dati mettono in luce le criticità dell’Italia nel cogliere l’obiettivo di portare tutti i giovani a raggiungere adeguati livelli di istruzione e, conseguentemente, nel garantire equità nei livelli di benessere della popolazione.
Nel confronto con l’Europa sul livello d’istruzione, l’Italia ha una posizione molto arretrata riguardo al secondo obiettivo della strategia Europa 2020 legato all’istruzione: innalzare al 40% la quota di giovani 30-34enni con titolo di studio terziario. Questo obiettivo è stato giudicato fondamentale nella “società della conoscenza”, sia per stimolare la crescita economica sia per rendere compatibile crescita e inclusione sociale.
Nel 2017, la quota di 30-34enni in possesso di titolo di studio terziario è pari al 26,9% (39,9% la media Ue). Nonostante un aumento dal 2008 al 2017 di 7,7 punti l’Italia è la penultima tra i paesi dell’Unione e non è riuscita a ridurre il divario con l’Europa.
Questo risultato, risente certamente anche della mancanza di un’efficace alternativa ai corsi di laurea rappresentata dai corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti (corrispondenti al livello 5 della ISCED 2011), capaci, cioè, di recepire le esigenze di quanti vorrebbero conseguire un titolo di alto livello fuori dai tradizionali percorsi universitari. Queste tipologie di corso sono piuttosto diffuse in diversi Paesi europei; in Spagna e Francia circa un terzo dei titoli terziari posseduti dai 30-34enni ha queste caratteristiche.
Il divario di genere in Italia è molto forte, con oltre una giovane su tre laureata a fronte di un giovane su cinque (tale divario è superiore a quello medio europeo ed agli altri grandi Paesi dell’Unione). Dal 2008 al 2017 l’incremento nella quota di donne giovani laureate è stato significativamente più sostenuto rispetto a quello degli uomini.
Anche per i laureati si riscontra un divario territoriale piuttosto accentuato; se la quota di 30-34enni laureati è bassa nel Nord e nel Centro (30,0% e 29,9%), nel Mezzogiorno si riduce al 21,6% ed il differenziale territoriale si sta ampliando. La percentuale dei 30-34enni con una laurea nelle discipline STEM (Science, Technology, Eengineering and Mathematics, quelle più richeiste dal mercato lavorativo) è stimata pari al 24,2% (il 37,5% tra i maschi e il 16,3% tra le femmine). Oltre una laureata su quattro ha un titolo nell’area disciplinare umanistica e servizi (27,7%) e meno di un laureato ogni sette (13,3%). Tra le donne è superiore anche la quota di laureate in medicina e farmacia (18,0% verso 13,4%).