Il raffreddamento del pianeta Terra è stato spiegato attraverso le ricostruzioni del clima del passato geologico caratterizzati da periodi estremamente caldi e con alti valori di pressione parziale atmosferica dell’anidride carbonica (pCO2) si stanno rivelando estremamente utili per costruire modelli predittivi climatici attendibili. Conoscere le temperature di un lontano periodo storico in una certa area e poterne spiegare la genesi, permetterebbe la costruzione di modelli di previsione molto affidabili per il futuro.
Per il passato geologico le stime delle paleotemperature vengono “dedotte” utilizzando degli indicatori ricavati da fossili presenti nei sedimenti che si trovano in fondo all’oceano. Grazie a spedizioni oceaniche che sono in grado di recuperarli è possibile utilizzare alcune loro caratteristiche geochimiche per ricostruire le paleotemperature.
Nel lavoro pubblicato su Nature, a cui ha partecipato Claudia Agnini del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, per la prima volta si presenta un insieme completo di dati sulle temperatura, ricavato dall’analisi di materiale proveniente dai fondali del Golfo di Guinea, che copre tutto l’Eocene (56-34 milioni di anni fa).
«Questo lavoro rappresenta un esempio di come l’integrazione di diverse discipline possa restituire dati nuovi e importanti per conoscere meglio il passato geologico e utilizzare queste conoscenze per migliorare le nostre capacità predittive. Nello specifico io mi sono occupata – dice Agnini – dello studio delle associazioni fossili a nannoplankton calcareo che hanno fornito il modello di età in cui sono stati inseriti i dati di paleotemperature ottenute grazie all’utilizzo del TEX86, un paleotermometro che si basa sulla membrana lipidica di organismi appartenenti al phylum Thaumarchaeota. I dati raccolti sono stati utilizzati per produrre modelli paleoclimatici globali che indicano il ruolo predominante dei gas serra nelle dinamiche climatiche del passato come del presente. È stato necessario – continua Agnini – il lavoro di molti ricercatori provenienti da cinque atenei – Utrecht University, Purdue University, Padova, University of Southampton e University of Bremen. Il materiale utilizzato è quello recuperato nel 1995 durante la spedizione 159 dell’ODP, il progetto di perforazione oceanica più importante al mondo che quest’anno celebra i suoi 50 anni. I sedimenti – evidenzia Agnini – sono stati stoccati in speciali magazzini fino a circa due anni fa quando sono stati campionati, divisi in sotto-campioni e inviati ai singoli ricercatori. La forza di questo progetto internazionale è la continuità: negli ultimi cinque anni ho partecipato a due spedizioni come ricercatrice. In questo caso è stato possibile lavorare su materiale recuperato più di 20 anni fa e mantenuto in perfette condizioni».
Finora la letteratura scientifica ha messo a disposizione dati ricavati da indicatori climatici (foraminiferi bentonici) derivati da sedimenti recuperati in fondali oceanici alle alte latitudini (vicini ai Poli) e che tipicamente ricostruiscono le paleotemperature delle acque profonde. Questi dati hanno permesso di capire l’evoluzione climatica durante l’Eocene (dai 56 ai 34 milioni di anni fa, il periodo più caldo di tutto il Cenozoico cioè degli ultimi 66 milioni di anni), e specificatamente il progressivo raffreddamento avvenuto a partire dall’Eocene inferiore-medio che, passando attraverso l’instaurarsi della calotta antartica (dai 34 milioni di anni fa a oggi), è proseguito fino all’era pre-industriale.
Il nuovo dataset, che si basa su carotaggi nel Golfo di Guinea, risulta particolarmente significativo perché, oltre a confermare i trend già conosciuti, fornisce un’evoluzione delle temperature medie delle acque superficiali e indica che durante l’Eocene inferiore, inferiore-medio, medio-superiore e superiore queste erano rispettivamente di 29, 26, 23 and 19 °C. Il dato risulta particolarmente significativo se si pensa che il valore riferito all’epoca preindustriale è di circa 14.4°C.
Non solo, lo scopo principale di questo lavoro era mettere a confronto le due teorie proposte per spiegare il progressivo raffreddamento verificatosi durante l’Eocene.
Da una parte l’ipotesi che prevede, come possibile causa del raffreddamento, un cambio nella circolazione oceanica con conseguente modifica del trasporto di calore dalle basse alle alte latitudini. In sostanza la separazione di Antartide e Australia, avvenuta nella parte terminale dell’Eocene (40-34 milioni di anni fa), ha causato l’apertura del Canale di Drake che, a sua volta, ha consentito l’instaurarsi della Corrente Circumpolare Antartica. Le regioni intorno all’equatore si sarebbero scaldate mentre le regioni polari si sarebbero progressivamente raffreddate, modificando le dinamiche del trasporto di calore sulla Terra.
Dall’altra l’idea che il fattore di controllo principale sia invece la diminuzione progressiva dei contenuti di gas serra (per esempio la CO2) in atmosfera. Un cambiamento della concentrazione dei gas serra, per questa teoria, influenzerebbe omogeneamente e su scala globale (alle alte e basse latitudini) le temperature del pianeta: ci sarebbe stato quindi un raffreddamento globale (anche ai tropici e non solo ai poli). Nell’Eocene, che era un mondo libero dai ghiacci, le alte latitudini erano aree estremamente sensibili. Dai dati emersi si è osservato che il trend delle temperature registrate è stato analogo, solo più amplificato (seppure in misura minore rispetto ad oggi).
I risultati dell’articolo pubblicato su «Nature» indicano un trend del tutto simile a quello registrato alle alte latitudini suggerendo che i gas serra, piuttosto che il cambiamento oceanografico, siano stati di fatto i responsabili del cambiamento climatico osservato. Infatti mentre i gas serra sono in grado di influenzare e produrre cambiamenti coerenti (diminuzione della temperatura) e contemporanei alle basse e alte latitudini, il cambiamento nella circolazione oceanica dall’equatore ai poli avrebbe prodotto come risultato la diminuzione della temperatura ai poli, ma un aumento (almeno temporaneo) all’equatore.
L’articolo su «Nature» dimostra il ruolo fondamentale dei gas serra nell’evoluzione climatica, di più, comprova come l’amplificazione registrata al polo rimanga costante e relativamente bassa. Questi risultati potranno essere utilizzati per modellizzare i meccanismi che controllano le variazioni climatiche e quindi migliorare le capacità predittive di modelli climatici ad oggi disponibili.