L’anidride carbonica (CO2) è un gas presente naturalmente nell’ambiente, frutto della respirazione dei viventi che solitamente viene raccolta e fissata dalle piante tramite la fotosintesi e dagli oceani. Fino all’avvento della rivoluzione industriale, c’è stato un sostanziale equilibrio nella sua produzione e smaltimento, ma con l’avvento e l’utilizzo intensivo delle fonti fossili (prima il carbone poi il petrolio e i suoi derivati), la sua presenza è andata progressivamente crescendo nell’atmosfera, con conseguenze pesanti sul clima, essendo la CO2 un gas climalterante capace di creare ed incrementare l’effetto serra, facendo innalzare la temperatura globale del pianeta con conseguente scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, con tutto ciò che ne consegue (innalzamento del livello dei mari, sconvolgimento del clima, alterazione dei normali cicli della pioggia, ecc.).
A seguito di accordi internazionali, lo sforzo globale è rivolto nel contenimento della produzione di anidride carbonica, per cercare di limitare l’innalzamento globale della temperatura e attivare forme di recupero e sequestro di quella già in circolazione per equilibrare il più possibile la sua presenza nell’atmosfera.
Se fino ad oggi l’obiettivo era raccoglierla e di confinarla nei giacimenti esausti di gas o di petrolio, oppure nelle profondità oceaniche, oggi si fa strada un’altra strada: quella della sua conversione in una risorsa per la produzione di energia rinnovabile riducendo la dipendenza dalle fonti fossili e per stabilizzare la produzione di energia rinnovabile da fonti intermittenti come l’eolico e il solare.
La tecnologia finora utilizzata passa attraverso un triplice stadio che prevede la fase intermedia di produzione d’idrogeno, una prassi ormai tecnologicamente ed industrialmente matura, tant’è che esistono già i primi impianti in grado di produrre carburanti sintetici (benzina e gasolio) di eccellente qualità del tutto privi di controindicazioni ambientali, in grado, oltretutto, di abbattere il carico inquinante dei veicoli più vecchi già in circolazione, altrimenti destinati ad una loro rottamazione anticipata, con una grandissima distruzione di valore.
Per incrementare l’efficienza del processo, un gruppo di lavoro coordinato da Paolo Tosi, professore di Fisica sperimentale al Dipartimento di Fisica e coordinatore del gruppo di Fisica atomica e molecolare dell’Università di Trento, è impegnato nella ricerca di metodiche alternative per trasformare direttamente l’anidride carbonica in un prodotto energetico, senza passare per la fase intermedia dell’idrogeno. Il gruppo di ricerca guidato da Tosi ha in corso varie collaborazioni internazionali. Quest’anno, la Commissione Europea ha finanziato un progetto (Pioneer – Plasma catalysis for CO2, recycling and green chemistry, H2020) per il coordinamento a livello europeo di diverse scuole di dottorato, con Trento unica università italiana, per la formazione di una nuova generazione di ricercatori e ricercatrici nel campo dell’energia rinnovabile.
Tosi e i suoi collaboratori sono concentrati sulle modalità per trasformare l’anidride carbonica tramite la creazione di un plasma con l’impiego di scariche elettriche per dissociarla tra carbonio ed ossigeno.
«Uno scenario energetico non più dominato dai combustibili fossili è il principale risultato da realizzare nel futuro prossimo venturo – afferma Tosi -. In tale contesto si inserisce il progetto Pioneer, il cui obiettivo principale è sviluppare una tecnologia al plasma per la trasformazione di energia elettrica rinnovabile in energia chimica, convertendo CO2, in combustibili e composti chimici per l’industria. Tale strategia può realizzare due obiettivi: accumulare energia rinnovabile in combustibili nei momenti di picco dell’energia rinnovabile e trasformare CO2, da prodotto di scarto a materia prima per l’industria chimica e il mondo dei trasporti. Entrambi questi obiettivi vanno nella direzione di una minore dipendenza dalle fonti fossili di carbonio».
Già a livello sperimentale su piccola scala, il gruppo di ricerca ha raggiunto un’efficienza del 50%. La sfida nei prossimi due anni sarà portare questo progetto su scala maggiore per poi giungere a quella industriale, incrementando ulteriormente l’efficienza di processo. Se la ricerca andrà a buon fine, si potrebbe arrivare alla soluzione di molti problemi odierni legati alla qualità dell’aria, alla produzione di carburanti sostenibili e ad incrementare la quota di energie rinnovabili a livello di sistema energetico nazionale. Oltre a consentire una generale delocalizzazione e produzione anche su piccola scala di energia per i più svariati utilizzi, così come è già avvenuto con l’energia elettrica con i pannelli fotovoltaici.