Decreto Dignità: Di Maio riesce nel coalizzare tutte le categorie economiche contro la sua proposta

Confindustria, Cna, Confartigianato contro la riduzione dell’utilizzo dei contratti a termine e del taglio degli sgravi. Appello al Parlamento per apportare le doverose modifiche. Bond: «il testo presentato dal Governo sarà fortemente emendato». 

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Di Maio, dopo un lungo lavoro di messa a punto, è riuscito a coalizzare tutte le categorie economiche contro i contenuti del cosiddetto decreto Dignità che va a comprimere gtandemente l’impiego dei contratti flessibili e a tempo nel mondo del lavoro.

Secondo Massimo Finco, presidente di Assindustria Venetocentro Imprenditori Padova Treviso, «al nuovo Governo abbiamo offerto un’apertura di credito, ma con altrettanta chiarezza diciamo che l’approccio del cosiddetto decreto Dignità, con la stretta sui contratti a tempo determinato e la reintroduzione delle causali, rischia di essere un boomerang per i lavoratori e per le imprese. Il rischio è azzerare una tendenza virtuosa che solo in Veneto ha visto nel primo trimestre 2018 un saldo positivo di 53.200 posti di lavoro e la crescita delle assunzioni a tempo indeterminato (29.500, +26%), specie per via delle trasformazioni da tempo determinato. L’ennesima conferma che lo sviluppo e il lavoro non si creano per decreto e tantomeno con rigidità ideologiche – sottolinea Finco -, ma investendo sulla produttività e la competitività delle imprese e del Paese. L’approccio “punitivo” che emerge dal decreto vede negli imprenditori dei potenziali approfittatori in malafede. È una visione pregiudiziale che respingiamo e che non coglie la complessità delle dinamiche più avanzate del lavoro e rischia di sortire l’effetto opposto a quello desiderato diminuendo l’occupazione. Invitiamo dunque tutti i Parlamentari veneti ad intervenire, in sede di conversione del decreto, per apportare i necessari correttivi ad un provvedimento che consideriamo, nei contenuti legati alla legislazione sul lavoro, profondamente sbagliato e dannoso per l’occupazione, in particolare dei più giovani».

«La “dignità” di cui il decreto si fa impropriamente portavoce – prosegue Maria Cristina Piovesana, presidente vicario di Assindustria Venetocentro – punta a cancellare un percorso riformista, quello di Marco Biagi, di Tiziano Treu, di Maurizio Sacconi per citare solo alcuni, che ha portato a valorizzare e regolamentare tutte le forme di lavoro, anche temporanee, che prima cadevano invece nel lavoro nero, quello sì indegno e precario».

Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente di Confindustria Trento, Enrico Zobele: «il decreto Dignità è un segnale molto negativo per il mondo delle imprese. Il Governo interviene sulle politiche del lavoro senza tenere conto di chi il lavoro lo dà. Ma non è per decreto che si genera occupazione: l’occupazione cresce se, quando e dove cresce l’impresa. E l’impresa cresce meglio in un habitat favorevole. Non, al contrario, in un contesto che le è ostile». Per Zobele «il tetto alle proroghe dei contratti a termine, ma soprattutto la reintroduzione delle motivazioni del ricorso al contratto a termine, sono misure che rischiano di ottenere effetti contrari alle intenzioni, soprattutto con riguardo alla riesplosione del contenzioso».

Quanto alla stretta sulle delocalizzazioni, secondo Zobele «una norma astrattamente positiva rischia nei fatti di costituire un disincentivo per gli investitori a scegliere l’Italia per il loro business. Infine, stiamo attenti a non ostacolare chi virtuosamente si internazionalizza aprendosi a nuovi mercati. Rimane l’auspicio che l’impresa torni al centro dell’agenda governativa e si mettano presto in campo azioni concrete soprattutto in riferimento alla semplificazione e alla riduzione del costo del lavoro».

Deluso anche il mondo dell’artigianato: per Agostino Bonomo.presidente di Confartigianato Imprese Veneto, «a 4 mesi dal voto del 4 marzo, e ad un mese esatto dal giuramento del nuovo Governo la “grande attesa” per il primo atto economico si riduce ad un provvedimento molto ideologico e poca sostanza. Registriamo un pregiudizio verso le imprese. Ci aspettavamo politiche di sviluppo e di incentivo per il lavoro ed invece ci troviamo nuove complicazioni ed il rischio di maggiori costi per chi intende avviare dei nuovi rapporti di lavoro. Anche in tema di stretta alla delocalizzazione, temo, si metta in atto un provvedimento dopo che i “buoi hanno lasciato il recinto”. Negli ultimi 20 anni, ad esempio, molte imprese industriali del nostro Paese hanno spostato nell’Est Europa e nel mondo, nel silenzio e sulla pelle di noi artigiani, un intero settore come quello della moda. Solo in Veneto, abbiamo dimezzato in pochi anni le imprese (passate da oltre 15.000 alle poco più di 6.000) e perduto 50.000 posti di lavoro. Se di tutela e sviluppo della catena della fornitura italiana vogliamo parlare, puntiamo sul rendere appetibile il ristabilimento prodottivo e l’investimento di capitali stranieri sulla straordinaria filiera di super fornitori che ancora abbiamo nel manifatturiero. Oppure mettendo lo Stato al fianco dei contoterzisti per combattere la nuova “guerra” verso coloro che vorrebbero vedere realizzate le loro creazioni qui da noi, ma allo stesso costo del Bangladesh. O peggio, li mettono in concorrenza con i laboratori clandestini o con quelli cinesi che, nei nostri stessi territori, producono nell’ignoro totale di qualsiasi regola e tutela del lavoro».

Quasi sicuramente il provvedimento presentato da Di Maio sarà pesantemente emendato in Parlamento: ne è convinto il deputato forzista Dario Bond: «il decreto legge così come è uscito dal Consiglio dei Ministri, porterà un danno rilevante al mercato del lavoro. Si dia al Parlamento la possibilità di intervenire su un tema così importante e delicato, così da poter rimediare agli errori tecnici e di obiettivo. Fa specie che, dopo anni di critiche, si sia scelto proprio lo strumento del decreto per intervenire a gamba tesa su una riforma, quella del “Jobs Act”, che era sì da superare, ma con uno sguardo al futuro e alle nuove sfide, non con un inefficace salto nel passato».

Insomma, a Di Maio è riuscito anche il non facile compito di fare rimpiangere l’operato del neo Senatore di Rignano.