Dieselgate: arrestato l’amministratore delegato di Audi accusato di frode

Dopo l’avvio delle indagini una settimana fa che hanno coinvolto i manager del gruppo Audi Volkswagen, ora sono scattate le manette per il capo del marchio di prestigio del gruppo. 

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Nuovo scatto in avanti nello scandalo Dieselgate che ha coinvolto prima gli Stati Uniti e che ora sta deflagrando in Europa, toccando i santuari dell’industria automobilistica tedesca, tanto da innescare una durissima reprimenda da parte del presidente di Confindustria tedesca, Dieter Kempf: «chi ha fatto errori deve chiamarli con il proprio nome, scusarsi, ripararli, assumersi la responsabilità e quindi recuperare fiducia». Dopo l’esplosione del “Dieselgate” ha detto Kempf, «non vi nascondo che mi sarei aspettato un altro comportamento» dai produttori di automobili.

A richiamare alle loro responsabilità i vertici del settore ci hanno pensato gli inquirenti che indagano sui dati falsati delle emissioni dei veicoli diesel prodotti dal gruppo Audi Volkswagen. Dopo le perquisizioni di una settimana fa ordinate dalla Procura di Monaco effettuate nelle abitazioni private e gli uffici personali di Rupert Stadler e di un altro membro del consiglio di amministrazione a seguito della contestazione del reato di “frode” e di aver contribuito “all’emissione di certificati falsi”, ora sono scattate le manette ai polsi dell’amministratore delegato di Audi.

Attualmente sono sotto inchiesta l’ex amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn, e il suo successore Martin Muller, oltre che l’attuale capo del consiglio di sorveglianza del gruppo, Hans Dieter Poetsch, e l’attuale ceo di Volkswagen, Herbert Diess.

Un ulteriore problema che va ad aggiungersi alla decisione di una settimana fa da parte della Kba, l’agenzia federale della motorizzazione tedesca, di ordinare un richiamo di circa 60.000 Audi A6 e A7 dopo la scoperta di un “software illegale” in grado di distorcere i livelli di emissione di gas inquinanti. Software che potrebbe riguardare anche i modelli commercializzati anche in altri paesi europei, ma sui quali sono chiamati ad intervenire le singole autorità di controllo nazionali.

Il gruppo Audi Volkswagen non è l’unico ad essere finito sotto l’esame degli inquirenti tedeschi: anche Bmw, Daimler (Mercedes) e Bosch sono sottoposti ad indagini. Ma altri costruttori potrebbero finire sotto inchiesta, specie se anche le altre autorità nazionali preposte ai controlli di conformità sull’omologazione dei modelli circolanti usciranno dal loro torpore per effettuare approfondite indagini di loro competenza, perché quello dell’auto è uno dei pochi settori dove il mercato unico europeo riguarda solo la regolamentazione di riferimento, ma non i controlli, demandati sempre alle singole autorità nazionali. Stante quanto emerso, sarebbe utile arrivare ad un’unica agenzia europea con responsabilità sulle omologazioni e i relativi controlli, sull’esempio di quanto già succede nei campi della salute e della sicurezza alimentare.

Lo scandalo Dieselgate è scoppiato nel settembre del 2015, dopo che l’Agenzia ambientale degli Stati Uniti (Epa) ha accusato Volkswagen di aver equipaggiato 11 milioni di auto diesel, di cui circa 600.000 negli Stati Uniti, con un software in grado di truccare il risultato dei testi antinquinamento e di occultamento delle emissioni fino a 40 volte gli standard consentiti. Lo scandalo è già costato al gruppo tedesco più di 27 miliardi di dollari in richiami di veicoli e procedimenti giudiziari. E altri potrebbero aggiungersene, visto sono in corso procedimenti giudiziari in oltre 50 Paesi del mondo e sanzioni. L’ultima, di 1 miliardo, è stata decisa dalla procura di Stato di Braunschweig, che Volkswagen ha accettato di pagare, riconoscendo di fatto le sue responsabilità.