La conceria italiana è permeata da un solido dinamismo e da una rafforzata dimensione internazionale. La vocazione innovativa. La strutturale impronta ambientale che si traduce nell’impegno sostenibile che «è per noi conciatori esplicitazione di un modo di lavorare. È un solco che si può solo rendere più marcato e profondo». Con queste parole Gianni Russo ha avviato l’Assemblea generale dell’associazione “UNIC – Concerie Italiane” di cui è presidente.
Un nome che rappresenta un sigillo di qualità e testimonia la leadership globale della pelle italiana, che ha chiuso un 2017 «comunque positivo – sottolinea Russo -. La produzione complessiva è cresciuta del 6,1% in volume (129 milioni di metri quadri di pelli finite; 11.000 tonnellate di cuoio suola) e dell’1,8% in valore, attestandosi sui 5,1 miliardi di euro». In rialzo dell’1% anche l’export (destinato a 120 Paesi) che vale una quota del 75% del fatturato: 25 anni fa era ferma al 35%. I numeri, dunque, «confermano ancora una volta solidità e forza» di un settore composto da 1.213 aziende e 17.746 addetti (il 20% dei quali è donna), che, dopo un biennio caratterizzato da lievi decrementi, torna in area positiva e continua a investire in sostenibilità «oltre il 4% del proprio fatturato annuale, cioè più di 200 milioni di euro. Nel 2002 erano la metà – continua il presidente -. Giocando d’anticipo, abbiamo soddisfatto la “business strategy” dei marchi internazionali, che richiede l’impegno sinergico tra i diversi anelli della filiera».
Moderata da Maria Luisa Sacchi e arricchita da un intervento del giornalista e scrittore Davide Giocalone, l’Assemblea UNIC – Concerie Italiane si è svolta nel nuovissimo “Spazio Lineapelle” di Palazzo Gorani, a Milano, che «diverrà un centro espositivo permanente, dove osservare da vicino come la pelle ispiri e risulti spesso determinante per le scelte creative della moda, del design, dell’automotive». Un vero e proprio hub culturale, ideato per «valorizzare il passato, parlare del presente e del futuro della pelle “Made in Italy”. Ospiterà mostre, eventi, incontri, che avranno come comune denominatore la promozione e la diffusione della cultura e del valore della pelle». Un valore da promuovere, raccontare, condividere.
Tornando alle cifre, nel 2017, i costi operativi delle concerie italiane sono stati stimati in aumento di circa due punti percentuali rispetto allo scorso anno. La causa principale va ritrovata nei maggiori costi di acquisto delle materie prime (pelli grezze e semilavorate, +4,4%), la più rilevante voce di spesa delle aziende del settore, con un’incidenza del 54% sul totale. Seguono i servizi (22%), i prodotti chimici ed il costo del lavoro (12% di incidenza per entrambi). Tutti questi capitoli di spesa sono aumentati dell’1-2% l’anno passato.
In linea con l’esercizio precedente i risultati medi industriali in termini di redditività (ROE e ROI) e margini, con EBITDA (margine operativo al lordo di risultato della gestione finanziaria, ammortamenti e deprezzamenti, imposte) al 4%. Scenario positivo per gli indicatori di patrimonializzazione, che mostrano una minore incidenza dei debiti finanziari e un generale rafforzamento del capitale proprio.
La conceria italiana è considerata un’eccellenza a livello mondiale del modello di sviluppo industriale a matrice distrettuale, tipico del nostro Paese. Nel 2017, i quattro principali poli regionali sono arrivati a incidere per oltre il 96% del fatturato conciario nazionale.
Il distretto veneto, che si concentra nella provincia di Vicenza ed è specializzato nelle bovine grandi per interni auto, calzatura, pelletteria ed arredamento, si conferma essere il primo in termini di produzione (57% del valore totale italiano), export e numero di addetti. Il secondo maggior comprensorio, che si trova in Toscana nella provincia di Pisa e lavora prevalentemente vitelli e bovine di medie dimensioni per la clientela moda, incide per il 28% sul valore della produzione complessiva, mentre il terzo polo regionale, localizzato in Campania, rappresenta il principale riferimento in Italia per la lavorazione di pelli ovicaprine, con destinazione pelletteria, calzatura ed abbigliamento; attualmente vale il 7% della produzione conciaria nazionale. Nell’area lombarda del magentino milanese si trova, infine, il quarto distretto per dimensioni (5% del totale nazionale), anch’esso principalmente specializzato nel comparto dell’ovicaprino.
Le dinamiche di mercato nel corso dell’anno passato hanno premiato soprattutto la produzione veneta, il cui valore è nel complesso cresciuto del 4,8% (export +3,9%), soprattutto grazie al segmento delle pelli per automotive. Sostanzialmente stabile il distretto toscano, mentre l’aggregato campano e quello lombardo hanno mediamente scontato le incertezze delle pelli ovicaprine.
I conciatori italiani sono primi nella classifica mondiale dei maggiori produttori, con una quota in valore pari al 20% del totale globale (65% nell’area UE), e dei maggiori esportatori, dato che il 27% delle pelli finite complessivamente esportate nel mondo ha origine italiana. La conceria italiana ha importato, nel 2017, circa 840.000 tonnellate di pelli grezze o semilavorate da 120 Paesi, in rialzo del 4,9% rispetto all’anno precedente. Nello specifico, sono state acquistate dall’estero 409.000 tonnellate di pelli grezze, 420.000 tonnellate di “wet blue” e 10.000 tonnellate di “crust”. Sul fronte delle provenienze, l’area europea, in leggero aumento nel 2017, si conferma il principale bacino di approvvigionamento per il settore, con una quota pari al 52% dell’import complessivo. Seguono, in ordine di importanza, il Sud America (+7%), l’area Nafta (in crescita a doppia cifra), l’Africa/Medio Oriente (+5%), e l’Oceania (in lieve calo).