Dopo alcuni anni di progressiva diminuzione, dallo scorso mese di gennaio ad oggi sono tornati ad aumentare i tempi di pagamento medi della pubblica amministrazione italiana. Il dato emerge dall’ealborazione condotta dalla Cgia di Mestre su dati dell’indagine “European Payment Report 2018” presentata da Intrum Justitia il 28 maggio 2018.
Se nel 2017 il compenso era mediamente corrisposto dopo 95 giorni dall’emissione della fattura – contro i 30 stabiliti dalla normativa europea che possono salire a 60 per alcune tipologie di forniture, come quelle sanitarie – nell’anno in corso la media è salita a 104 giorni. Nessun altra pubblica amministrazione (pa) in Ue salda i debiti commerciali con tempi così lunghi. Rispetto alla media europea, ad esempio, in Italia i ritardi sono superiori di oltre due mesi (precisamente 63 giorni).
«Siamo maglia nera in Ue e nonostante le promesse fatte in questi ultimi anni – dichiara Paolo Zabeo coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia –. Gli enti pubblici continuano a liquidare i propri fornitori con ritardi inammissibili, mettendo in seria difficoltà soprattutto le imprese di piccola dimensione che, da sempre, sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità. E sebbene da almeno 3 anni chi lavora per il pubblico ha l’obbligo di emettere la fattura elettronica, ancora adesso il sistema informatico messo a punto dal ministero dell’Economia non è in grado di stabilire a quanto ammonta complessivamente il debito commerciale del comparto pubblico: una situazione surreale».
Alla luce di tutto ciò, secondo la Cgia un dubbio è legittimo: che attendibilità può avere un debitore, in questo caso lo Stato italiano, se non conosce nemmeno l’ammontare complessivo delle risorse che deve ai propri creditori, nonostante possa monitorare lo stato di avanzamento dei pagamenti attraverso la propria piattaforma informatica? Una situazione incresciosa, tanto che nel dicembre scorso la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione a causa del sistematico mancato rispetto delle disposizioni europee contro i ritardi di pagamento.
Secondo gli ultimi dati riportati dalla Banca d’Italia nella “Relazione annuale 2017” (pagg. 154-155), lo stock di debiti commerciali in capo all’Amministrazione pubblica italiana sarebbe sceso da 64 a 57 miliardi di euro. E in attesa che il ministero dell’Economia riesca a dimensionarli con esattezza, si stima, al netto della quota riconducibile ai ritardi fisiologici (ovvero entro i 30/60 giorni come previsto dalla legge), che le imprese fornitrici vanterebbero circa 30 miliardi di crediti dallo Stato e dalle sue varie articolazioni.
Una situazione che per le imprese è resa ancora più gravosa dal fatto che dall’inizio del 2015 è attivo lo “split payment”. Questa misura obbliga le amministrazioni centrali dello Stato (e dal 1 luglio 2017 anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’erario. L’obiettivo è stato quello di contrastare l’evasione fiscale, ovvero, evitare che una volta incassata dal committente pubblico, le aziende fornitrici, che secondo Banca IFIS nel 2017 sono state circa 1 milione, non la versino al fisco. Un meccanismo sicuramente efficace nell’impedire che l’imprenditore disonesto non versi l’Iva all’erario, ma che ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l’evasione, invece, nulla hanno a che vedere. Vale a dire la quasi totalità delle imprese.
«La pubblica amministrazione – afferma il segretario della Cgia, Renato Mason – non solo paga con un ritardo inaudito e quando lo fa non versa più l’Iva al proprio fornitore. Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, oltre a subire tempi di pagamento spesso irragionevoli, scontano anche il mancato incasso dell’Iva che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare i pagamenti correnti. Questa situazione, associandosi alla contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle imprese in atto in questi ultimi anni, ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime piccole aziende».
Stando alle informazioni rese note dalla Ragioneria Generale dello Stato, attualmente il ministero dell’Economia ha informazioni “solo” sul 70% circa dell’importo complessivo saldato ogni anno dallo Stato che si aggira attorno ai 160 miliardi di euro. Pertanto, ben 48 miliardi di pagamenti ancora adesso non transitano attraverso la piattaforma informatica. Pur essendo costretti a imporre per legge la fattura elettronica ai propri fornitori, moltissimi enti pubblici (almeno il 40% del totale) utilizzano mandati di pagamento cartacei, non consentendo al ministero dell’Economia di certificare i ritardi e le somme non ancora liquidate. Tutto questo, stando alle disposizioni di legge previste nella legge di Bilancio 2017 e dai successivi decreti attuativi, dovrà cessare entro il prossimo 30 settembre; dal giorno successivo, infatti, tutta l’amministrazione pubblica italiana (sanità inclusa) sarà obbligata a transitare sia in entrata sia in uscita attraverso la piattaforma Siope+.
Ritornando ai dati sui tempi medi di pagamento, il confronto con i risultati dei principali paesi europei è impietoso. Se in Italia i giorni medi necessari riferiti al 2018 sono saliti a 104, in Spagna e in Francia ci vogliono rispettivamente 56 e 55 giorni per liquidare i fornitori. In Germania, invece, il dato è salito a 33 giorni, mentre nel Regno Unito si è attestato a 26.