Presentata a Verona la “Visione Strategica della Mobilità” di Unrae

Urgente il varo e l’attuazione di un’agenda della transizione. I costruttori sono pronti a supportare la mobilità del futuro. Crollati gli investimenti nella costruzione e manutenzione delle infrastrutture. 

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L’Unrae, l’Associazione delle Case automobilistiche estere attive in Italia, ha presentato a Verona la propria strategia per il futuro della mobilità nazionale. L’Associazione si è rivolta al Censis per uno studio a carattere socio-economico sulla transizione oggi in atto e al CNR per un’analisi delle emissioni delle autovetture. I principali risultati degli studi effettuati sono stati presentati in una tavola rotonda cui hanno partecipato Marco Baldi, responsabile dell’Area economia e territorio del Censis, Maria Vittoria Prati e Carlo Beatrice, ricercatori dell’Istituto Motori del CNR di Napoli, Romano Valente, direttore generale dell’Unrae e Michele Crisci, presidente dell’Unrae.

L’Istituto Motori del CNR ha presentato una ricerca con la quale ha fatto chiarezza sull’evoluzione delle normative in materia di emissioni climalteranti e inquinanti, analizzando i possibili scenari che si verificherebbero con un significativo ricambio del parco circolante. Dalla ricerca è emerso che le tecnologie motoristiche in sviluppo saranno in grado di proiettare i motori convenzionali ad un livello di inquinamento praticamente trascurabile nel prossimo decennio e che il motore a combustione interna resta uno strumento strategico al fine di una efficace transizione verso una mobilità “CO2 Neutral” per i paesi europei.

I ricercatori del CNR hanno sostenuto, infine, che l’introduzione piena delle nuove normative sulle emissioni inquinanti (RDE) annullerà gli effetti riscontrati nell’applicazione delle precedenti normative e la coesistenza delle differenti tecnologie propulsive. Nel medio-lungo termine sarà fondamentale lo sfruttamento delle sinergie tra i vari sistemi al fine di definire il connubio ottimale tra propulsore e vettore energetico in funzione del tipo di veicolo e del suo uso.

Il numero complessivo degli “spostamenti” si è ridotto di circa il 20% rispetto al 2008, però è aumentata la “popolazione mobile”, ossia coloro che almeno una volta al giorno si spostano sul territorio. Dopo il picco negativo toccato nel 2012, quando la quota di persone che aveva effettuato spostamenti in un giorno feriale si era attestata al 75,1%, si è assistito ad una progressiva ripresa che ha toccato l’83,6% nel 2016. Il tasso di mobilità cresce significativamente soprattutto all’interno dei grandi comuni.

Si è interrotto il ciclo storico di allungamento della distanza media percorsa che, dopo il picco del 2013 (13,8 km) è scesa agli attuali 11,6 km. Nei perimetri urbani lo spostamento medio è di circa 4 km. Cresce la componente “erratica” della mobilità: gli spostamenti per studio e lavoro sono meno del 50% di quelli extra-urbani e circa il 30% di quelli urbani.

Rimane forte l’interesse per il “bene auto” testimoniato non solo dall’accresciuto volume d’immatricolazioni (1.970.000 nel 2017), ma anche dal consistente volume di trasferimenti di vetture usate (2,7 milioni nel 2016). D’altra parte, il 65,3% degli spostamenti avvengono oggi in auto (erano il 63,8% nel 2008) e i lavoratori italiani si spostano prevalentemente in auto (68,9% degli occupati a cui si aggiunge un ulteriore 5,7% che usa l’auto in veste di passeggeri).

Pochi i cambiamenti sul fronte della mobilità collettiva se si esclude l’alta velocità ferroviaria che ha migliorato la capacità di collegare tra loro in modo rapido ed efficiente i principali poli urbani del CentroNord. Passi in avanti molto limitati per la mobilità interna ai nostri sistemi urbani. Il trasporto pubblico locale (TPL) presenta livelli di offerta e performance lontane dagli standard europei e fortemente sottodimensionata rispetto al fabbisogno. Solo Milano intercetta con il TPL una quota interessante di mobilità urbana (57%), che però si ridimensiona di molto considerando gli spostamenti tra comuni dell’area metropolitana (37%).unrae

Pesa la mancanza d’investimenti costanti e programmati sulle linee metropolitane e sul parco autobus: le metropolitane di Milano, Roma, Napoli, Torino trasportano complessivamente 884 milioni di passeggeri/anno, poco più della metà dei passeggeri di Londra o di Parigi. L’età media degli autobus italiani è di 11,4 anni (Germania 6,9, Regno Unito 7,6, Francia 7,8, Spagna 8). Non stupisce il drastico giudizio dei cittadini sul TPL, con un livello di gradimento per il servizio molto inferiore ai valori massimi europei (tra 80% e 90%): Bologna 65%, Torino 63%, Napoli 33% Roma 30%, Palermo addirittura 14%.

In generale un Paese ad insediamento diffuso come l’Italia trova grandi difficoltà ad offrire servizi di trasporto collettivo: se nelle grandi città il TPL è generalmente inadeguato, nelle città medie è quasi irrilevante (copre il 12% della domanda), e nella gran parte delle piccole spesso non esiste (4-5% della domanda).

La buona intonazione dell’economia italiana lascia presagire che il tasso di mobilità continuerà a progredire nei prossimi anni e l’auto continuerà a svolgere un ruolo centrale. Ma gli scenari della mobilità sono oggi attraversati da numerosi fattori di discontinuità. Alcuni stanno già dispiegando i loro effetti, altri stanno alimentando attese per il futuro.

Si evolve la normativa di riferimento: le strategie europee tendono a prevedere obiettivi sempre più ambiziosi sui fronti emissivi dei veicoli tradizionali (benzina e gasolio), e a favorire la penetrazione sul mercato di veicoli a propulsione innovativa come l’elettricità, l’ibrido, l’idrogeno, i biocarburanti, e il gas nelle sue diverse accezioni (Gnc, Gnl, Gtl, Gpl).

Si evolve l’offerta di autoveicoli che diventano sempre più integrati e “dialoganti” con sistemi, piattaforme, infrastrutture ad essi esterni. La gamma di possibilità evolutive interessa il comfort, la sicurezza, l’ottimizzazione degli usi, la riduzione della congestione urbana; sono poi sempre meno impattanti sul fronte emissivo, includendo le opzioni “low o zero emission” nelle loro diverse possibili declinazioni; infine, sono sempre più condivisibili nell’uso, affiancando al tradizionale possesso la possibilità di utilizzo in time-sharing.

Si evolve la domanda di autoveicoli chiedendo prestazioni avanzate anche sui fronti della sicurezza e della sostenibilità ambientale. L’Italia è dentro questo processo risultando ai vertici in Europa per immatricolazione di veicoli ad “alimentazione non tradizionale”. Sommando le vetture ibride, a GPL, metano ed elettriche si arriva all’11,7% dell’immatricolato 2017. Gli italiani che dichiarano un forte interesse per le auto ibride ed elettriche sono il 65,1% della popolazione (sotto i 34 anni di età questa quota sale al 78,3%).

Cambiano le forme di utilizzo e il possesso di un’auto è sempre meno una condizione indispensabile per poterla usare. La quota di immatricolazioni a noleggio sfiora ormai il 22% del totale. Cresce rapidamente il car sharing (1.080.000 iscritti e 6.270.000 noleggi nel 2016), ma soprattutto cresce la domanda potenziale verso questa modalità di accesso: il 38,5% degli italiani si dichiarano “interessati” (55,8% tra i minori di 34 anni d’età).

L’evoluzione normativa (in particolare dell’UE) punta ad una progressiva decarbonizzazione della produzione e del consumo di energia. Il trasporto passeggeri su strada è un “osservato speciale” che però incide attualmente in Italia solo per il 18,6% delle emissioni di CO2 (la sola produzione di energia elettrica rappresenta il 30,2% delle emissioni). La motorizzazione privata è anche il settore dove sono stati compiuti i maggiori sforzi tecnologici ed ottenuti i maggiori miglioramenti negli ultimi anni. Tuttavia le moderne motorizzazioni diesel hanno raggiunto performance talmente avanzate in termini emissivi da scoraggiare ulteriori tentativi di miglioramento incrementale. Per ridurre ulteriormente le emissioni climalteranti delle singole autovetture è necessaria dunque una sostituzione con veicoli a diversa propulsione. Un processo lungo, che richiede investimenti e politiche di accompagnamento. Certamente non basterà il progressivo “ostracismo” da parte delle amministrazioni locali più ambiziose in tema di qualità ambientale anche perché le vetture diesel rappresentano tutt’ora il 56,4% dell’immatricolato.

Il parco auto italiano è tra i più obsoleti d’Europa e l’età media tende a crescere ulteriormente (era di 7,9 anni nel 2008 e oggi ha raggiunto i 10,9). Ma soprattutto preoccupano i 7,6 milioni di vetture omologate Euro 0, 1, 2 a cui si aggiungono i 5,7 milioni di Euro 3. Paradossale che si dibatta genericamente di “uscita dal diesel” senza considerare che sostituendo questi veicoli con dei moderni Euro 6 (o anche Euro 5) si otterrebbe una  drastica riduzione sia delle emissioni climalteranti che delle concentrazioni urbane di inquinanti.

Il Paese ha forti difficoltà ad investire in infrastrutture tradizionali (strade, parcheggi di scambio, manutenzione) e al momento non ci sono segnali concreti di voler investire in nuove infrastrutture a supporto di nuove forme di mobilità. Lo attesta il consumo di asfalto (22 milioni di tonnellate/anno) dimezzato rispetto al periodo pre-crisi e lo attesta il ritardo nella realizzazione di punti di ricarica per auto elettriche, ad oggi circa 2.700, in pratica un decimo della disponibilità tedesca. D’altra parte, a differenza dell’Italia, quasi tutti i Paesi del Nord Europa stanno attuando i piani nazionali di sviluppo di un “numero adeguato di punti di ricarica per garantire che al 2020 i veicoli elettrici circolino almeno negli agglomerati urbani/suburbani” (come previsto dalla Direttiva 2014/94/EU del Parlamento Europeo e del Consiglio – DAFI).

«Ci troviamo agli albori di una fase di grande cambiamento – ha commentato Marco Baldi, responsabile dell’Area economia e territorio del Censis – nella quale, forse per la prima volta, potremo smettere di parlare della mobilità delle persone come di un problema da affrontare declinato volta per volta come congestionamento, inquinamento, incidentalità. I processi oggi in corso, se ben guidati, ci renderanno tutti più liberi: liberi di spostarci con veicoli a motore senza lo stigma sociale degli inquinatori, liberi di guidare senza oneri gestionali e manutentivi, liberi di spostarci senza essere esposti ad eccessivi “rischi incidentali”. Ma soprattutto, liberi di scegliere le diverse opzioni modali in una logica integrata e di servizio piuttosto che di adesione ad un modello precostituito, ad uno schema comportamentale abituale o ad un determinato vettore».

Il Paese ha oggi bisogno di condividere – tra tutti i soggetti coinvolti dalla questione della mobilità – un’“Agenda della transizione” che faccia chiarezza sui problemi in essere e che tracci il percorso da seguire nei prossimi anni. L’“Agenda” dovrebbe innanzitutto introdurre elementi di chiarezza nel riverbero mediatico attuale sulla questione emissiva. Si rischia, infatti, di far convergere sull’auto responsabilità ampiamente condivise con altri settori (la produzione energetica e industriale e la dimensione edilizia, innanzitutto); è poi necessario definire un percorso di accompagnamento nel progressivo passaggio dal sistema di mobilità attuale a quello prefigurato dai regolamenti europei per il 2025, il 2030 e il 2050.

L’“Agenda” sottolinea la necessità di prevedere le infrastrutture necessarie, da un lato, per garantire la transizione verso la “e.mobility”, tenuto conto che al momento attuale i veicoli elettrici trovano un ostacolo alla loro diffusione – oltre che nel costo di acquisto – nella sostanziale inesistenza di punti di ricarica e, dall’altro, per favorire una maggiore diffusione per promuovere una visione ordinata delle diverse forme alternative e innovative di mobilità emergenti (il car sharing in ambito urbano, il car pooling sulle tratte extraurbane, le nuove modalità di intermediazione dei servizi e di condivisione dei beni basate su piattaforme digitali);

Fondamentale è programmare la riduzione della vetustà attuale del parco circolante, segnalando gli effetti positivi in termini di maggiore sicurezza e minore impatto ambientale che potrebbero provenire da una maggiore responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti e da strumenti di sostegno al rinnovo del parco circolante affrontando la questione del diesel in modo progressivo distinguendo nettamente tra vetture obsolete (Euro 0, Euro 1, Euro 2, Euro 3) e vetture che offrono ottime performance emissive (Euro 5, Euro 6).

Infine, è necessario coordinare e armonizzare le misure adottate a livello locale che hanno impatto sulla circolazione (divieti di accesso selettivi in base alle omologazioni e alle motorizzazioni, zone a traffico limitato, road pricing, parcheggi a pagamento) evitando le soluzioni estemporanee come targhe alterne o “domeniche ecologiche”, oltre a promuovere un concetto di “mobilità come servizio” che superi la rigida distinzione oggi in essere tra trasporto privato e collettivo. Da un lato ragionando sempre in chiave intermodale per lo sviluppo del trasporto pubblico, dall’altro promuovendo tutte le tecnologie e i meccanismi abilitanti oggi disponibili.

«In sostanza – ha dichiarato il presidente dell’Unrae Crisci – è quanto mai urgente che si avvii un processo virtuoso che consenta all’Italia di raggiungere gli obiettivi fissati dalle normative europee attraverso l’adozione di misure efficaci di svecchiamento e rinnovo del parco e di realizzazione delle necessarie infrastrutture. Ciò favorirebbe la sempre maggiore messa in circolazione di veicoli a minore impatto ambientale e più sicuri, che le Case automobilistiche sono già in grado di offrire, sulla base del principio della neutralità tecnologica, assicurando in pieno una mobilità sostenibile sia ambientalmente che economicamente. 
L’Unrae – ha concluso Crisci – avvierà da subito un piano di visite tra i principali comuni italiani con l’obiettivo di sensibilizzare i decisori locali e nazionali alla realizzazione di un’Agenda della transizione che ha le potenzialità per condurre il Paese ad uno scenario più moderno e innovativo, che nel 2030 dovrebbe, secondo le stime Unrae, far raggiungere ai veicoli elettrici ed ibridi, una quota complessiva di circa il 50% del totale delle vendite».