Oltre 244 miliardi di euro di valore della produzione, pari al 7,9% del totale nazionale e 1,5 milioni di occupati, con un contributo dell’industria “bio” superiore a 20 miliardi di euro. Sono questi i numeri della bioeconomia in Italia che fotografa il II Rapporto sulla Bioeconomia in Europa presentato a Torino da Intesa Sanpaolo e Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, che fa parte di Federchimica.
La bioeconomia presenta in Italia significative prospettive di sviluppo nei prossimi anni, grazie anche alla presenza di un nucleo di soggetti nella filiera a valle della bioindustria. Sulla base delle tecnologie attualmente esistenti, le produzioni chimiche potenzialmente trasformabili in ottica “biobased” sono in Italia poco meno del 40%.
Lo sviluppo di un’economia che cresca rispettando l’ambiente e riducendo la dipendenza da risorse non rinnovabili, come i combustibili fossili, appare come obiettivo prioritario per l’Europa e per l’Italia. Risulta, pertanto, importante capire quale sia il potenziale economico della bioeconomia, ovvero l’insieme delle attività che producono e utilizzano materie prime naturali, dall’agricoltura, all’alimentare, all’industria del legno e della carta, a una parte del settore chimico.
La quantificazione del valore della bioeconomia, presentata nel Rapporto, è stata condotta utilizzando le statistiche ufficiali sia sul valore della produzione e dell’occupazione, sia sui flussi di commercio con l’estero, presentando delle stime originali in particolare per quanto riguarda l’individuazione dei prodotti di matrice chimica potenzialmente realizzabili attraverso l’utilizzo di risorse rinnovabili, sulla base delle tecnologie attualmente esistenti.
Secondo le stime effettuate, la bioeconomia in Italia nel 2013 valeva in termini di produzione 244 miliardi di euro, pari al 7,9% del valore totale della produzione nazionale. In termini di occupazione si può stimare un numero di occupati rilevante, pari a quasi 1,5 milioni di persone, occupate in particolare nella filiera agro-alimentare. Sulla base delle tecnologie attualmente esistenti, le produzioni chimiche potenzialmente trasformabili in biochimiche sono poco meno del 40%. Uno sguardo a livello globale evidenzia il peso importante dei prodotti “bio-based” nel commercio globale: le esportazioni di prodotti afferenti alla bioeconomia, così come classificati, ammontavano nel 2014 a 2.400 miliardi di dollari circa, ovvero il 12,6% del commercio mondiale, una quota in netta espansione rispetto al 9,8% del 2007. I prodotti alimentari, con quasi 1.115 miliardi, pesano per il 46% circa sul totale delle esportazioni di prodotti della bioeconomia. La filiera agro-alimentare nel suo complesso raggiunge i due terzi del totale, seguita dai prodotti della biochimica, che pesano per il 14,5% delle esportazioni.
Lo studio condotto ha consentito di evidenziare il rilevante ruolo dei settori “bio-based” nel contesto produttivo e occupazionale europeo. L’Europa gioca un ruolo importante in questi settori dal punto di vista del commercio internazionale, insieme a Stati Uniti e Cina, con una quota significativa di scambi interni ai paesi dell’Unione Europea, a testimonianza dell’elevata integrazione nello spazio europeo. Le politiche a favore di questi settori possono, pertanto, presentare rilevanti ricadute anche in termini occupazionali, oltreché rappresentare un contributo significativo verso la costruzione di un sistema economico sostenibile.
Anche in Italia la bioeconomia gioca un ruolo rilevante, con significative prospettive di sviluppo nei prossimi anni, grazie alla presenza di un nucleo di soggetti nella filiera a valle della biochimica (sia nei biocarburanti che nelle altre produzioni).
Nel 2014 la produzione italiana di biocarburanti, unica voce del panorama della biochimica che può essere monitorata sulla base delle statistiche attuali, è stata pari a 483.000 tonnellate, equivalenti a 359 milioni di euro. Nonostante un ruolo ancora contenuto del nostro paese nel commercio mondiale di biocarburanti, il tessuto produttivo evidenzia alcuni elementi positivi: una primazia tecnologica e una molteplicità di attori (sia grandi, che piccoli produttori), con impianti diffusi su tutto il territorio e in forte espansione, grazie sia agli avanzamenti tecnologici sia agli investimenti dedicati alla riconversione dei siti petrolchimici tradizionali. Anche nel mondo della chimica da fonti rinnovabili l’Italia può vantare un quadro normativo all’avanguardia ed esperienze positive di crescita della produzione attraverso progetti mirati e integrati nel territorio, con una forte attenzione alle modalità di approvvigionamento delle biomasse necessarie, fattore chiave per lo sviluppo della bioeconomia, ed ai vantaggi di sistema che questi nuovi prodotti possono portare in termini di nuova occupazione, salvaguardia della biodiversità, e di risoluzione di problemi ambientali.
L’analisi dei flussi di commercio estero relativamente ai beni agricoli e alimentari, nonché lo studio delle informazioni sui flussi fisici di materia, evidenzia un significativo gap del nostro paese in termini di produzione interna di materie prime naturali. Il livello di produzione pro-capite di biomassa nel nostro paese appare limitato e inferiore a quello registrato negli altri principali paesi europei.
Secondo le simulazioni effettuate dal Rapporto, uno sviluppo delle produzioni biochimiche in Italia, tale da portare al 20% il loro peso sulle produzioni settoriali, creerebbe un fabbisogno aggiuntivo di biomassa pari ad uno 0,4% medio annuo.
Per contenere la dipendenza nazionale dall’estero in questo campo e valorizzare al meglio la capacità tecnologica che sta esprimendo l’Italia nell’ambito delle industrie “bio-based”, occorrerà pertanto ripensare all’approccio sulle biomasse, puntando sia a una maggiore produttività, sia ad un recupero delle superfici utilizzate, sia ad un migliore sfruttamento dei residui delle lavorazioni già esistenti, in una logica di filiera e di crescente circolarità dei sistemi produttivi. In quest’ottica sarà importante ragionare anche su politiche che prevedano l’utilizzo di prodotti “bio-based” in tutti quei contesti in cui è elevato il rischio di dispersione ambientale e dove la biodegradabilità rappresenta dei vantaggi globali di sistema. Questo richiederà politiche di accompagnamento e sostegno, con il coinvolgimento di tutti gli attori del sistema, dalle istituzioni locali e nazionali, alle associazioni di rappresentanza ai singoli imprenditori.
«I numeri presentati oggi – ha commentato Leonardo Vingiani, direttore di Assobiotec – testimoniano che la bioeconomia è già una realtà importante nel nostro paese. E che le biotecnologie industriali sono motore imprescindibile di questo meta-settore da cui dipenderà sempre più la capacità del nostro paese di conciliare crescita economica, creazione di posti di lavoro altamente qualificati e sostenibilità ambientale. Assobiotec chiede da tempo che anche l’Italia si doti di una strategia nazionale per la bioeconomia, fondata su casi di studio dimostrativi che abbiano dato prova di essere vitali e sostenibili. Tali casi di studio devono essere considerati come un modello da cui sviluppare politiche in sinergia con le aree locali e le loro specificità».
Secondo Vingiani «è importante che la strategia italiana sulla bioeconomia, parte integrante del nuovo paradigma dell’economia circolare, si concentri su incentivi a sostegno sia della ricerca sia dell’acquisto di prodotti verdi nella pubblica amministrazione oltre che su un sistema di standard a cui conformarsi e di etichettature sul modello del Programma Biopreferred promosso dal Dipartimento dell’Agricoltura negli Stati Uniti».
«Lo studio condotto – sottolinea Stefania Trenti, della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo – ci ha consentito di fotografare una realtà importante per l’economia italiana, con un forte potenziale di sviluppo nei prossimi anni, grazie anche alla presenza di un nucleo di soggetti nella filiera a valle della biochimica. Lo sviluppo di un’economia che cresca rispettando l’ambiente e riducendo la dipendenza da risorse non rinnovabili deve essere una priorità anche per il nostro paese, favorendo la crescita di ulteriori realtà innovative oltre a quelle già presenti. Per raggiungere questo obiettivo diventerà sempre più cruciale la produzione di biomassa, che negli ultimi anni ha registrato invece in Italia una contrazione sia in termini assoluti che pro-capite. Sarà importante innalzare la produttività, ma anche un recupero delle superfici utilizzate e, soprattutto, un migliore sfruttamento dei residui delle lavorazioni già esistenti, in una logica di filiera e di crescente circolarità dei sistemi produttivi».