Olio extravergine d’oliva italiano a rischio dell’invasione tunisina

Bruxelles intende abolire i dazi sull’importazione di olio nell’ambito di un trattato di libero scambio con il Paese nordafricano. Il Cnr inventa il tracciamento del prodotto con un’indagine genica.

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Il migliore prodotto di qualità dell’alimentare italiano come l’olio extravergine d’oliva è a serio rischio d’estinzione sotto la probabile invasione di prodotto d’origine nordafricana se il progetto di trattato di libero scambio con la Tunisia progettato da Bruxelles andrà in porto.

Il presidente della Commissione europea, JeanClaude Juncker, e il primo ministro tunisino, Youssef Chahed, hanno raggiunto un accordo preliminare per azzerare tutti i dazi sulle importazioni in Europa entro il 2019, superando così l’attuale regime di cui Tunisi gode e che nel comparto oleario prevede un plafond di 92.700 tonnellate la quota di olio d’oliva esportabile in Europa a dazio zero. Togliendo il dazio, pari a 1,22 euro al chilogrammo, l’olio tunisino andrebbe a costare meno di quello italiano, specie di quell delle regioni del Sud Italia.

L’apertura ad una maggiore importazione di olio dalla Tunisia – capace di una produttività potenziale di circa 200.000 tonnellate annue – espone anche all’immissione sul mercato di un olio di qualità inferiore a quello dei migliori extravergine italiani, specie quelli dell’area del Garda e del centro Italia. A vantaggio della produzione tunisina il basso costo della manodopera e la forte meccanizzazione delle piantagioni, dove quasi tutte le lavorazioni sono automatizzate.

Intanto, per evitare le frodi, il CNR ha sviluppato una tecnica capace di individuare l’effettiva origine dell’olio, mediante un’analisi genetica. Il fenomeno di introdurre olio prodotto nei paesi nordafricani o in Turchia facendolo transitare per porti con controlli “morbidi” come quelli in Spagna, paese elettivo di questo genere di traffici, consente di trasformare in “olio comunitario” le importazioni, che poi invariabilmente finiscono per arrivare in Italia, deprimendo ulteriormente i prezzi già bassi, nonostante la penuria di olio di produzione nazionale falcidiata dall’andamento climatico della passata stagione. Dai 5,99 euro al chilo pagati all’origine nel mese di marzo 2017, le quotazioni sono precipitate ai 4,10 euro dello scorso aprile. Un crollo del 31,6% in 13 mesi che mette a rischio il comparto nazionale, strategico anche per la sua caratterizzazione paesaggistica.