La circolare del Minsalute: devono essere nuovi, monouso, compostabili, integri e conformi alle norme di igiene e sicurezza. Obbligo di controllo alle casse. Confcommercio: «sarà caos».
Beatrice Lorenzin, nonostante la sonora bocciatura buscata alle elezioni politiche del 4 marzo scorso con il suo partitino a sostegno dell’asse Dem, continua a fare danni dalla tolda del ministero alla Salute. Non paga del bailamme sollevato con l’applicazione all’italiana di una vecchia direttiva dell’Unione europea in fatto di imballaggi dei prodotti alimentari nei luoghi di vendita, dopo mesi di polemiche, di scaricabarile tra ministeri vari e pure una sentenza del Consiglio di Stato, con una nuova circolare è riuscita a generare ancora più caos.
I sacchetti biodegrabili per l’acquisto di frutta e verdura si possono portare da casa, purché siano compostabili, nuovi, monouso (non riutilizzabili), integri e conformi a tutti i principi di igiene e sicurezza. Secondo la circolare appena diffusa dal ministero della Salute, «deve ammettersi la possibilità di utilizzare – in luogo delle borse ultraleggere messe a disposizione, a pagamento, nell’esercizio commerciale – contenitori autonomamente reperiti dal consumatore»
Sembrerebbe la felice conclusione di una vicenda nata male volta a disincentivare l’uso delle buste in plastica creando un percorso virtuoso per l’economia e per l’ambiente. Ma così non è, rinfocolando la polemica feroce tra consumatori, distributori e ambientalisti.
«La circolare del ministero della Salute è totalmente avulsa dalla realtà e non risolve nulla» sbotta Pierpaolo Masciocchi, responsabile settore Ambiente e qualità di Confcommercio -. Se domani un cliente volesse utilizzare la sua bustina bio, incontrerebbe due ostacoli: reperire allo stesso prezzo applicato dalla grande distribuzione dei sacchetti che abbiano le caratteristiche di quelli forniti a pagamento dai supermercati e riuscire a completare l’operazione di pesatura sulla bilancia senza incappare nel pericolo di pagare due volte la sportina. Insomma, il principio sacrosanto di libertà di scelta del consumatore va a farsi benedire».
Se sulla questione del prezzo un consumatore potrebbe anche sorvolare (anche se con tutta probabilità dovrebbe sostenere una spesa annua superiore a quella che affronterebbe nel supermercato, pari a 8-10 euro annui in media), c’è il problema della tara e dei controlli sulla conformità dei sacchetti per così dire “privati”. Sul primo aspetto, è la stesa circolare ad evidenziare il problema: «non si può sottacere la presenza di possibili criticità connesse alla diversità di peso». Le bilance dei supermercati sono già tarate con il peso della busta, che varia dai 4 ai 6 grammi e viene sottratto dal peso di frutta e verdura. Ma se la busta portata da casa pesa di più il consumatore rischia di pagare a caro prezzo anche il peso eccedente alla tara della bustina.
Quello che indispettisce i commercianti è il problema dei controlli: «ai cassieri –sostiene Masciocchi – spetta un triplo compito: controllare le buste in cassa per verificare che siano nuove e conformi, stornare dallo scontrino l’eventuale addebito delle buste applicato in automatico oltre a gestire le probabili proteste degli altri clienti in fila alla cassa, soprattutto nelle ore di punta». Secondo Confcommercio «la circolare del ministero è avulsa dalla realtà e non serve a far inquinare di meno».