Il celebre paesaggista veneto arriva nel capoluogo giuliano dopo Verona, Lodi, Milano, Treviso e Bologna.
Sarà inaugurata martedì 24 aprile, alle ore 17.00, alla sala Comunale d’Arte di Trieste, piazza dell’Unità d’Italia 4, la mostra “Vittorio Carradore. La meravigliosa lentezza del paesaggio”. L’esposizione del celebre paesaggista veneto fa parte del calendario di esposizioni organizzate dal Comune di Trieste.
Curata da Andrea Ciresola e Federico Martinelli, con la collaborazione dell’Associazione Culturale “Quinta Parete” di Verona, la mostra presenta una selezione delle opere più significative di Carradore con particolare attenzione per il paesaggio, nucleo centrale non solo dell’esposizione, ma anche della ricerca artistica e iconografica del pittore.
Dopo Verona, Lodi, Milano, Treviso e Bologna, Carradore porta a Trieste i suoi colori. «Per il valore storico di Trieste e il prestigioso Palazzo che ospita la mostra, ho selezionato – dice Martinelli – con particolare attenzione al paesaggio, ciò che di più significativo e simbolico caratterizza la sua arte. Paesaggi dalla natura rigogliosa e che dai campi restituisce i suoi frutti. Paesaggi che, attraverso la luce, raccontano stagioni e stati d’animo, paesaggi e volti del lavoro agreste, paesaggi innevati che, pur coperti da un bianco manto, irradiano l’energia e la supremazia della natura. Le circa quaranta opere in mostra testimoniano, infatti, come dal racconto del paesaggio si possa trasmettere l’emozione del quotidiano attraverso simbologie all’apparenza nascoste tra le fronde degli alberi, tra un filare di vite o nel modo curvilineo di un sentiero».
«Il paesaggio da sempre tiene banco nella pittura di Vittorio Carradore con i suoi accenti luminosi e il cielo tessuto di azzurri, cavalcato a volte dalla nube a volte sopraffatto dalla nebbia – dice Ciresuola -. O dalla calura amazzonica dell’umidità estiva. E poi la neve, con la tavolozza infinita dei bianchi, che bianca non è mai, una neve sorprendentemente azzurra, cinerina e attraversata da qualche rosa che fa capolino senza saperne il perché. Una rappresentazione dell’immenso teatro della pianura dove a fare da scenografia sono spesso la montagna e la collina, quinte maestose e ferme. Fissate nell’eternità. Di questa fissità parla la lentezza del paesaggio impressa nei dipinti di Carradore, un bisogno interiore necessario all’artista per contrapporre il proprio mondo all’incessante flusso d’informazioni, azioni, accadimenti, obblighi propri della contemporaneità».