Secondo Coldiretti nelle bottiglie straniere c’è sempre più sofisticazione con vino fatto con acqua e polveri. Smascherati trucchi in cantina consentiti all’estero e vietati in Italia.
Se l’accordo di libero scambio con il Canada (CETA) non protegge dalle imitazioni, dall’Amarone all’Ortrugo dei Colli Piacentini, insieme a molti altri vini, quello siglato con il Giappone esclude dalla tutela ben il 95% delle 523 denominazioni di vini riconosciute da Nord a Sud del Paese e la situazione è ancora più preoccupante nella trattativa in corso con i Paesi del Mercosur dotati di un forte potenziale vitivinicolo che già producono copie dei vini italiani, dal Prosecco brasiliano al Bordolino argentino (bianco e nero) mostrato dalla Coldiretti al Vinitaly.
La mancata protezione delle denominazioni di vino italiane nei diversi Paesi non solo rischia di favorire l’usurpazione da parte dei produttori locali ma – sottolinea la Coldiretti – favorisce anche l’arrivo su quei mercati di prodotti di imitazione realizzati altrove. A rischio ci sono ben 5 miliardi di valore dell’export dei vini italiani a denominazione di origine ma anche l’immagine del “Made in Italy” e la reputazione conquistata con il lavoro di generazioni.
L’intesa raggiunta con il Canada, sebbene abbia mantenuto l’accordo siglato nel 2003, non ha previsto – precisa la Coldiretti – l’aggiornamento dell’elenco con le denominazioni nate successivamente. E pertanto non trovano al momento tutela importanti vini quali l’Amarone, il Recioto e il Ripasso della Valpolicella, il Friularo di Bagnoli, il Cannellino di Frascati, il Fiori d’arancio dei Colli Euganei, il Buttafuco e il Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese, la Falanghina del Sannio, il Gutturnio e l’Ortrugo dei Colli Piacentini, la Tintilia del Molise, il Grechetto di Todi, il Vin santo di Carmignano, le Doc Venezia, Roma, Valtenesi, Terredeiforti, Valdarno di Sopra, Terre di Cosenza, Tullum, Spoleto, Tavoliere delle Puglie, Terre d’Otranto. L’accordo con il Giappone – continua la Coldiretti – prevede invece la protezione da parte del Paese del Sol Levante di appena 25 denominazioni italiane, dall’Asti al Brunello di Montalcino, dal Franciacorta al Soave, dal Marsala al Lambrusco di Sorbara fino al Vino Nobile di Montepulciano solo per citarne alcuni della lista che esclude la stragrande maggioranza delle 523 denominazioni di origine e indicazioni geografiche riconosciute in Italia.
L’ultima trattativa arrivata a minacciare i vini italiani – spiega la Coldiretti – è quella in corso con i Paesi del mercato comune dell’America meridionale di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay (Mercosur), con una forte vocazione vitivinicola. Il negoziato appare molto complesso per il vino italiano anche per la presenza in Brasile di diversi produttori di Prosecco specialmente nella zona del Rio Grande che rivendicano il diritto di continuare a fare questo vino italiano anche perché la varietà vinis vinifera “prosecco tondo” risulta iscritta nella banca dati brasiliana del germoplasma sin dal 1981. L’Unione Europea ha elaborato una lista di sole 30 denominazioni di vino italiano oltre alla Grappa da tutelare, che riflette in buona parte quella dell’accordo con il Giappone e ricomprende il Prosecco, ora peraltro al vaglio dei produttori locali che potrebbero chiedere ai loro Paesi di proporre un’ulteriore taglio alla lista stessa.
La situazione – denuncia la Coldiretti – rischia peraltro di aggravarsi per il mancato aggiornamento da parte dell’Unione Europea delle liste comunitarie di tutela delle denominazioni legate con varietà autoctone. Dal Bonarda dell’Oltrepò Pavese alla Falanghina del Sannio, dal Negroamaro di Terra d’Otranto alla Tintilia del Molise, ma anche il Durello Lessini, Casavecchia di Pontelatone o il Castel del Monte Bombino Nero sono solo alcune delle denominazioni varietali dei vini “Made in Italy” che – precisa la Coldiretti – non sono al momento protette dall’Unione Europea e che potrebbero essere utilizzate all’interno della stessa Ue per produrre generici vini varietali. La Coldiretti chiede che il Parlamento europeo blocchi il progetto di Regolamento delegato predisposto dai servizi della Commissione Ue in revisione del Regolamento 607/09 e ne chieda l’aggiornamento delle liste.
«E’ inaccettabile che il settore agroalimentare sia trattato dall’Unione Europea come merce di scambio negli accordi internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale – ha affermato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo -. Si rischia di svendere l’identità dei territori e quel patrimonio di storia, cultura e lavoro conservato nel tempo da generazioni di agricoltori».
Ma a preoccupare i viticoltori non c’è solo il discorso della tutela internazionale: forse ancora più grave è quello connesso con le sofisticazioni. Dal vino zuccherato a quello annacquato, dal vino in polvere a quello alla frutta ma anche il finto rosato o le imitazioni delle denominazioni più note Sono solo alcuni dei trucchi consentiti all’estero e smascherati dalla Coldiretti. Si tratta di pratiche che in Italia sarebbero punite anche come reato di frode ma che all’estero sono invece permesse con evidente contraddizione favorita dall’estensione della produzione a territori non sempre vocati e senza una radicata cultura enologica che con la globalizzazione degli scambi colpisce direttamente anche i consumatori di Paesi con una storia del vino millenaria. Sono aumentate dell’8% le bottiglie straniere di vino e spumante stappate in Italia per un totale di 32,7 milioni di chili nel 2017.
Lo zuccheraggio del vino – spiega la Coldiretti – è ad esempio permesso nell’Unione Europea ad eccezione di Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro, Malta e in alcune aree della Francia che rappresentano però circa l’80% della produzione comunitaria. «Occorre smascherare in etichetta l’inganno dell’aggiunta di zucchero al vino che l’Unione Europea consente ai Paesi del Centro e Nord Europa cogliendo l’occasione della revisione delle norme – ribadito Moncalvo -. Si tratta di un danno per i produttori mediterranei e un inganno per i consumatori che non possono fare scelte consapevoli». Negli Stati Uniti, invece al contrario è addirittura consentita l’aggiunta di acqua al mosto per diminuire la percentuale di zuccheri secondo una pratica considerata una vera e propria adulterazione in Italia. Miscele di vini da tavola bianchi e rossi per produrre un “finto rosè” vietate in Europa sono possibili invece in Nuova Zelanda e in Australia. L’Unione Europea però ha dato il via libera al vino senza uva con l’autorizzazione alla produzione e commercializzazioni di vini ottenuti dalla fermentazione di frutti diversi dall’uva come lamponi e ribes molto diffusi nei Paesi dell’Est.
L’ultima frontiera dell’inganno – continua la Coldiretti – è nella commercializzazione molto diffusa, dal Canada agli Stati Uniti fino ad alcuni Paesi dell’Unione Europea, di kit “fai da te” che promettono il miracolo di ottenere in casa il meglio della produzione enologica “Made in Italy”, dai vini ai formaggi. Si tratta di confezioni che grazie a polveri miracolose promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose come Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurztraminer, Barolo, Lambrusco o Montepulciano. Il problema non è legato solo all’utilizzo delle pregiate denominazioni del Belpaese poiché in base alla normativa europea del vino, non è possibile aggiungere acqua nel vino o nei mosti. La definizione europea del vino non contempla l’aggiunta di acqua e soprattutto per questo il commercio dei “wine kit” su tutto il territorio europeo andrebbe vietato. Il Consorzio di tutela Vino Chianti ha recentemente denunciato come la contraffazione corra sempre più online ed in sei mesi è stata accertata la presenza e la vendita di 39 “kit vino” che millantano la possibilità, appunto, di preparare il Chianti “fai da te”.
Un mercato molto florido per internet dove i rischi riguardano l’utilizzo delle stesse o simili denominazioni o simili per indicare prodotti molto diversi. Dal Bordolino argentino nella versione bianco e rosso con tanto di bandiera tricolore al Kressecco tedesco, ma ci sono anche il Barbera bianco prodotto in Romania e il Chianti fatto in California, il Marsala sudamericano e quello statunitense tra le contraffazioni e imitazioni dei nostri vini e liquori piu’ prestigiosi che – conclude la Coldiretti – complessivamente provocano perdite stimabili in oltre un miliardo di euro sui mercati mondiali alle produzioni “Made in Italy”.