Nello spazio musicale allestito sull’isola di San Giorgio un recital in duo con il pianista Huw Warren.
Di Giovanni Greto
In una confortevole sala della Fondazione Cini all’isola di S. Giorgio, a Venezia, si è svolto un convegno internazionale di tre giorni, “The Female Voice in the Twentieth Century: Material, Symbolic and Aesthetic Dimensions”, dedicato alla voce femminile nel XX secolo, dove gli interventi dei numerosi relatori, italiani compresi, erano rigorosamente in lingua inglese.
Suddiviso in quattro sezioni, il convegno ha esordito con alcune riflessioni teoriche e filosofiche, scaturite grazie all’impatto delle pratiche vocali e compositive. In seguito, ha affrontato il ruolo della voce nel teatro musicale sia dal punto di vista compositivo, sia da quello performativo, oltre alla sperimentazione vocale e l’estensione delle possibilità espressive e si è concluso con un indagine sulle “grane” della voce e i nuovi timbri vocali, mettendo a confronto esperienze maturate nella composizione sperimentale, nella musica popolare e nel Jazz.
L’Istituto per la Musica della Fondazione Cini, promotore del convegno, ha voluto invitare la cantante e compositrice Maria Pia De Vito ad esibirsi, alla fine della seconda giornata di lavori, nell’originale, per certi aspetti unico, spazio dell’auditorium “Lo Squero”, che si è lentamente riempito, non soltanto a motivo dell’ingresso gratuito. Una curiosità mista ad interesse, ha spinto infatti buona parte del pubblico a prendere posto in sala per ascoltare il progetto “Dialektos”, che ha spaziato tra la tradizione napoletana, il Jazz e la MPB, la musica popolare brasiliana, condiviso tra la cantante napoletana e il pianista gallese Huw Warren, artisticamente insieme da ben undici anni.
Di questo e di molto altro la platea è venuta a conoscenza, grazie ad una chiacchierata informale di circa mezz’ora tra la De Vito e il professor Stefano La Via dell’università di Pavia. Prima di porle alcune domande, La Via ha presentato la cantante come «compositrice e “transcreatrice” (un lemma di sua invenzione), ossia traduttrice di parole e musiche dei mondi più vari. La sua peculiarità consiste nell’essere in grado di assorbire esperienze e vocalità le più disparate, mescolare mondi diversi, per creare qualcosa che non c’era prima». Il suo repertorio spazia dal Jazz alla musica classico-colta dal 1500 al 1700, da Orlando di Lasso (circa 1532-1594) a Giovambattista Pergolesi (1710-1736), ai cantautori nordamericani e brasiliani, questi ultimi transcreati con tanta passione ed attenzione dal portoghese al napoletano.
Invitata, adolescente, da gruppi di amici ad interpretare un repertorio legato alla Nuova Compagnia di Canto Popolare e a tutto quanto gravava attorno a Roberto De Simone, nel 1976, appena sedicenne, viene chiamata da un professore dell’Istituto Orientale di Napoli, a far parte del suo gruppo, Il Tiglio, che spaziava da Bach alla Spagna, alla musica ortodossa greca, a quella dell’Est Europa. Così Maria Pia ha dovuto esprimersi in numerosi e differenti idiomi, in un apprendistato che le sarebbe tornato utile nel proseguimento della carriera. Tuttavia, a un certo punto, entra in crisi. Vede cantare in TV Ella Fitgerald e Frank Sinatra. Si innamora di quel tipo di improvvisazione e si immerge anima e corpo nel Jazz.
Dopo dieci anni le musiche tradizionali napoletane ritornano a bussare alla porta. Il reincontro con la pianista jazz Rita Marcotulli porta alla nascita di “Nauplìa”, ossia un repertorio fatto di canzoni napoletane di fine ’800-inizio ’900, che Maria Pia aveva sentito cantare, ci tiene a sottolineare, non dai dischi ma “da mia madre, dalla nonna, dalla gente” e di brani originali di Rita con testi in napoletano di Maria Pia. L’intenzione era quella «non di riprodurre, ma di dire qualcosa di personale attraverso quello che canto. Lavorare per fare in modo che non uscisse qualcosa di kitsch fra la tradizione napoletana e il Jazz. Ho iniziato a lavorare sul suono (non si può mettere insieme tutto) e mi sono rassegnata: siccome ho due o più voci, cerco di non fare dei pastiches». Da lì, attraverso le incisioni con il pianista John Taylor, purtroppo scomparso di recente, e al chitarrista Ralph Towner, che coglieva nella sua voce un aspetto materno, Maria Pia arriva per caso ad incidere lo scorso anno “Core Coraçao”. Tutto nasce da una richiesta di collaborazione del cantautore brasiliano Guinga, che la vuole accanto a sé per dei concerti, prima a Roma e poi in Brasile. Maria Pia traduce sei brani del chitarrista, altri di Egberto Gismonti, ma soprattutto di Chico Buarque con il quale intesse una corrispondenza per sei anni che porterà alla realizzazione, per l’appunto, del disco.
Il recital si apre e si chiude con due brani di Warren: “And the Kitchen sink”, in cui è evidente l’influenza di Ella, che si manifesta attraverso uno Scat ritmico ed insistito; un simpatico 6/8, “Whistling Rufus”. In scaletta ci sono anche tre pezzi pubblicati in “O pata pata”, un disco uscito nel 2011: “G continuo” di Rita Marcotulli propone uno Scat all’unisono con il pianoforte, oltre a figurazioni che richiamano la sillabazione della musica indiana; il velocissimo e trascinante “Frevo em Maceiò” di “quel pazzo scatenato che era Hermeto Pascoal”; “Curre Maria”, versione napoletana lentissima della languida “Olha Maria”, composta da Chico assieme a Tom Jobim e Vinicius de Moraes.
Le esili canzoni di Chico si rinforzano attraverso la napoletaneità. E’ il caso di “Basta um dia”, “M’abbasta ‘Nu Juorno” e “Trocando em miudos”, “Facimmo ampresso”. Il pubblico applaude un recital che supera di poco l’ora di ascolto e si conclude con una dolcissima “Todo sentimento”, di Chico Buarque, nel disco cantata in duo con l’autore. Per una volta Maria Pia si cimenta con il portoghese, con tutte le difficoltà che comporta una lingua straniera poco frequentata. Si conclude così un pomeriggio sabatino ancora freddo, ma la platea se ne torna a casa contenta, riscaldata dal calore di una brava interprete che interagisce con un pianista tecnicamente dotato, dal tocco ora forte ora delicato, abile improvvisatore.