“Bach is in the air”: insolito concerto al teatro “Toniolo” di Mestre

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Ramin Bahrami e Danilo Rea hanno duettato al piano interpretando Bach in modo non canonico.

Di Giovanni Greto

Suppongo che il motivo principale che ha spinto parecchie persone a varcare la soglia del teatro Toniolo sia stata la curiosità. Curiosità per vedere all’opera due pianisti – uno classico, l’altro un jazzista aperto anche al pop – che tre anni fa hanno dato vita ad un progetto per eseguire in maniera non canonica la musica di Johann Sebastian Bach.

E’ così uscito “Bach is in the air” per una storica etichetta di musica classica. Ramin Bahrami, iraniano, e Danilo Rea, vicentino/romano, lo hanno eseguito dal vivo in un teatro Toniolo pressoché al completo, occupato non soltanto dagli affezionati abbonati degli “Amici della musica di Mestre”, la storica associazione organizzatrice della stagione di musica sinfonica e da camera, giunta alla XXXII edizione.

In poco più di un’ora il duo ha presentato una specie di “Jam session”, scegliendo frammenti sparsi dal monumentale repertorio bachiano. Ad essere selezionati sono stati i motivi più conosciuti come “Jesus bleibt meine Freude” (di cui ricordo una tenera versione da parte del chitarrista brasiliano Baden Powell), il Preludio iniziale del primo libro del “Clavicembalo ben temperato”, l “Aria sulla quarta corda”, quanto mai utilizzata (se non sbaglio è o è stata la sigla del programma televisivo Quark). L’inizio promette bene. Rea, con la consueta abilità improvvisativa, interpreta secondo la sua sensibilità, l’aria delle “Variazioni Goldberg”. A seguire, Bahrami la ripropone nella versione classica (l’incisione delle “Goldberg” è stato il suo primo grande successo). Come al solito, il pianista sottolinea con gesti enfatici il suo percorso sulla tastiera, richiamandosi forse a Glenn Gould, inarrivabile e mitico interprete bachiano. Poi iniziano le esecuzioni a quattro mani. Se comincia Bahrami, occhio vigile sullo spartito, il percorso seguito è quello classico. Se invece la responsabilità passa a Rea, Bahrami accenna a poche note mentre la creatività del collega si espande gradualmente. Oppure, nei momenti più concitati, suona in maniera decisamente percussiva, con un uso intenso dei padali,  di modo che il suono si fa più roboante. Il pubblico applaude, anche se non in maniera scrosciante. Manca quell’emozione che la musica di Bach sempre trasmette, a meno che l’esecutore non sia uno studente alle prime armi od un cattivo dilettante.

Durante un’improvvisazione di Rea, Bach sembra assumere toni e stili tipici di quella musica russa tendente al trionfale. Per ben due volte al delicato “preludio n. 1 in Do maggiore” dal “Clavicembalo ben temperato”, ne segue un secondo velocissimo, forse scelto da Bahrami per dimostrare la propria abilità tecnica. Il duo estrae un movimento dalla “Suite inglese n. 3” e dall”Invenzione in tre parti n. 11”, entrambe in Sol minore, mentre Rea cita il tema di “Sumertime”, quando si rende conto che è accostabile alla tonalità bachiana mantenuta da Bahrami. Si prosegue così fino alla fine, ascoltando il tutto con una certa perplessità, soprattutto allorché sopraggiunge la noia. Dietro di me una signora commenta “Non mi piace mescolare il classico con il Jazz. O si suona e si ascolta l’uno, o si suona e si ascolta l’altro”. Le persone a partire dalla mezza età sorridono stupite, affermando “come sono bravi”. Gli applausi comunque non fanno venir giù il teatro. Mi sembra un’operazione commerciale, studiata a tavolino con l’etichetta discografica.

Altri Pensieri. Bach non è un compositore facile da interpretare. Ci sono stati musicisti che hanno tentato di farlo jazzisticamente. Ricordo il pianista John Lewis del “Modern Jazz Quartet”, con esiti non certo entusiasmanti. Un risultato felice, viceversa, è stato quello del trio del pianista Jacques Lousier, con contrabbasso e batteria, che ha interpretato con rispetto e buon gusto le “Variazioni Goldberg”. E allora, che sia forse preferibile concentrarsi su una o più composizioni, eseguendole integralmente – ad esempio le Partite, le Suite inglesi o francesi, le “Goldberg”, appunto – quando si intende sperimentare qualche cosa di diverso?

Tornando, per concludere, alle “Goldberg”, pubblicate a Lipsia probabilmente nel 1741, sembra siano state composte da Bach per essere suonate da un giovanissimo clavicembalista, Johann Gottlieb Goldberg, acciocché rendesse più liete le notti insonni del conte Keyserlingk, ambasciatore di Russia in Sassonia, spesso in visita a Lipsia. E’ una leggenda che si trova nella biografia bachiana di Johann Nikolaus Forkie, pubblicata nel 1802. Sia essa vera o no, le 30 variazioni hanno una dolcezza e una bellezza ineguagliabili. Nel lettore CD, quando le si ascolta, magari a tarda sera, alla fine di una giornata inesorabilmente piovosa, è bene cliccare il tasto “ripeti” per rilassarsi e addormentarsi di gusto, senza dover contare le pecore, magari sognando di essere immersi in una natura incontaminata.