Sesto Quatrini dirige Giampiero Sobrino e Boris Statsenko
Venerdì 16 marzo (ore 20.00; replica sabato 17 marzo, ore 17.00) è la volta del terzo concerto della Stagione sinfonica 2018 di Fondazione Arena al Teatro Filarmonico di Verona. Per questo appuntamento la bacchetta di Sesto Quatrini è chiamata a dirigere per la prima volta l’Orchestra e il Coro dell’Arena di Verona preparato da Vito Lombardi, con solisti il clarinettista Giampiero Sobrino e il baritono Boris Statsenko, su musiche di Copland, Shaw e Rachmaninov.
Con questo concerto il giovane direttore romano Sesto Quatrini, classe 1984, debutta alla guida dei complessi artistici areniani, con i quali affronterà poi in ambito lirico dal 31 marzo all’8 aprile l’opera comica mozartiana Le nozze di Figaro.
L’apertura del programma, di impronta fortemente jazzistica, vede protagonista il clarinetto suonato per l’occasione da Giampiero Sobrino, prima parte dell’Orchestra dell’Arena di Verona. La prima proposta è il Concerto per clarinetto e orchestra di Aaron Copland, composto tra il 1947 e il 1948 su commissione del famoso clarinettista Benny Goodman, che lo eseguì per la prima volta il 6 novembre 1950. Il Concerto per strumento solista e orchestra d’archi, arpa e pianoforte, presenta una struttura formale riconducibile a due movimenti, privi però di suddivisioni nette fra uno e l’altro. Il clarinetto nella prima parte tiene una linea melodica lirica e meditativa, Slowly and expressively come indica la notazione in partitura, anche se “instabile”. Poi si abbandona ad uno stile sempre più jazzistico fino alla cadenza del solista, che conduce alla seconda parte – Rather fast – decisamente “americana”, caratterizzata da una frammentazione ritmica e melodica costante, tipica di «un sinfonismo stilisticamente ibrido in bilico tra generi diversi: il jazz d’intrattenimento, il virtuosismo delle bands di provincia oppure certe strepitose scores del cinema d’animazione» (Sergio Miceli). Questa composizione è famosa anche nel repertorio di balletto, grazie al coreografo Jerome Robbins che la utilizzò per il suo The Pied Piper del 1951.
Segue un altro Concerto per clarinetto e orchestra, questa volta firmato dal celebre clarinettista Arthur Jacob Arshawsky, in arte Artie Shaw, considerato insieme ai suoi amici, colleghi e rivali Benny Goodman, Tommy Dorsey e Glenn Miller fondatore del genere swing. Scritto nel 1940 per il film Second Chorus, il Concerto per clarinetto viene inciso nello stesso anno proprio con la band di Shaw. Il brano, infatti, è originariamente composto per Big Band: su un ostinato ritmico tipo shuffle intervengono graffianti la sezione dei sax e quella dei brass, mentre agli archi è affidato il ruolo di morbido tappeto armonico; sarà quindi compito dell’orchestra sinfonica restituire il sound più intenso dello swing anni ’40.
Dopo l’intervallo restiamo sempre negli Stati Uniti, ma con suggestioni provenienti dalla cultura sovietica grazie a Vesna (Primavera), Cantata per baritono, coro e orchestra op. 20 scritta da Sergej Rachmaninov nel 1902, dove la voce di Boris Statsenko alternata a quella del Coro guida l’ascoltatore in un racconto musicale basato su un poema di Nikolaj Nekrasov. La poesia narra di un marito tormentato da pensieri omicidi nei confronti della moglie fedifraga chiamata Natalia Patrikievna, che grazie al ritorno della Primavera riesce a superare il trauma del tradimento e ritrovare l’equilibrio emotivo, come se la bella stagione gli sussurrasse la soluzione: Ama, finché è possibile amare,/sopporta finché è possibile sopportare,/perdona finché è possibile perdonare/e Dio sarà il tuo giudice.
Ultima proposta del concerto le tre Danze Sinfoniche op. 45 sempre di Rachmaninov: composte nell’autunno del 1940, tre anni prima della sua morte, sono le ultime composizioni del musicista russo. La prima esecuzione, avvenuta nel gennaio del ’41, era destinata alla Philadelphia Orchestra e al suo direttore stabile Eugène Ormandy, a cui vengono espressamente dedicate nell’edizione a stampa. Si tratta di tre movimenti dalle atmosfere malinconiche e riflessive, in cui emergono le note autobiografiche del compositore che in un certo qual modo si congeda dalla vita, come in una sorta di testamento spirituale («Ti ringrazio, Signore» si trova, difatti, scritto al termine dell’autografo). Questa suggestione emerge soprattutto nell’ultimo movimento in cui viene citato il Dies Irae gregoriano: «Proprio il tema del “Dies Irae” suggerisce il vero significato di queste danze; non la danza festiva ma la danza macabra, che si sviluppa in uno sguardo retrospettivo, in una intonazione nostalgica e riflessiva. Le splendide risorse dell’orchestrazione di Rachmaninov sono mirate proprio a sottolineare questo aspetto, facendo emergere in primo piano la malinconia degli strumenti a fiato, il lirismo degli archi, gli effetti illusionistici dei “glissando” e degli impasti strumentali» (Arrigo Quattrocchi).